sabato, febbraio 07, 2015

Questa è l'acqua


“Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: – Salve, ragazzi, com'è l'acqua? – I due pesci giovani nuotano un altro po', poi uno guarda l'altro e fa: – Che cavolo è l'acqua?”

Primo giorno di scuola del terzo anno delle superiori, primo liceo del classico, ultima ora di una giornata infinita, tra presentazioni di nuovi professori e minuti di vuoto, arrivano finalmente le 12: un’ora e saremo liberi. Entra la nuova professoressa di lettere, nessuno si muove sulla sedia, sembriamo come impietriti, è come se qualcuno ci stesse tenendo bloccati nel banco.
Si siede alla cattedra, ha una faccia dura, difficile da interpretare, nota fin da subito il nostro timore.
“Voglio leggervi il pezzo finale di questo libro, è il discorso che l’autore ha fatto qualche anno fa a un gruppo di laureandi di un college americano”, guardo il sottile volume che ha in mano: Questa è l’acqua di David Foster Wallace. Il silenzio diventa, se possibile, ancora più forte, dominato dall’ansia e, forse, anche dal desiderio di ascoltare. Legge le prime parole, le prime frasi: è stato immediatamente amore.

“E date retta a me, il valore schietto e reale della vostra cultura umanistica dovrebbe essere proprio questo: impedirvi di trascorrere la vostra comoda, agiata, rispettabile vita da adulti come morti, inconsapevoli, schiavi della vostra testa e della vostra naturale modalità predefinita che vi impone una solitudine unica, completa e imperiale giorno dopo giorno”

Vi ho raccontato come ho conosciuto questo libro perché da quel giorno ha assunto per me un significato particolare, per alcuni mesi non ho avuto neanche il coraggio di aprirlo, avevo paura che gli altri racconti avrebbero rovinato l’idea che mi ero creata del libro e dell’autore, e anche perché spero di potervelo descrivere, raccontare con la stessa passione, lo stesso amore con cui ce l’ha raccontato la nostra professoressa quel primo giorno di scuola.

Cominciamo col dire che Questa è l’acqua è una raccolta di sei racconti scritti tra il 1984 e il 1991 di cui l’ultimo è la trascrizione del discorso per il conferimento delle lauree tenuto al Kenyon College nel 2005 da Wallace, e che è la prima volta che provo a parlare di una raccolta di racconti, mi è sempre apparso terribilmente difficile dare una visione d’insieme di un libro frammentato in più pezzi, ma i racconti di questo libro sembrano tutti uniti fra loro da un unico filo conduttore, da una linea direttrice che ci conduce attraverso un percorso, un sentiero ben definito, ci racconta le più disparate condizioni umane, che siano felici, disperate, insolite, semplici, complicate, apparentemente scontate Wallace le affronta con sguardo passionale, instancabile, surreale e disincantato allo stesso tempo, come quello dei bambini.
Il primo racconto è Solomon Silverfish.  Rischiando di essere poco oggettiva, dirò che questo è forse il mio preferito, non posso non dirlo. Quella che ho letto, arrancando pagina dopo pagina, tornando indietro a rileggere pezzi troppo speciali o troppo complicati per essere letti una volta sola, e costringendomi ad andare avanti dopo esser stata ferma per dieci minuti su una frase, una parola, una virgola, può essere definita solo come una bellezza dolorosa, quella stessa bellezza che ti risucchia mentre leggi, ma che poi ti lascia con l’amaro in bocca alla fine, sempre.
Poi si cambia completamente visuale passando da Altra matematica a Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta, che è in assoluto il primo testo pubblicato da Wallace, in cui l’autore affronta per la prima volta il tema della depressione attraverso la narrazione semplice, scorrevole, “assonnata” e in prima persona di un ragazzo sotto l’effetto dei farmaci che si autodefinisce “un soldatino pieno di problemi”.

E dopo Crollo del ’69 e Ordine e fluttuazione a Northampton arriva finalmente, in chiusura, Questa è l’acqua. Ci sarebbero da scrivere infinite pagine su questo discorso, su questo unico, speciale discorso in cui Wallace ha racchiuso quella che era la sua semplice, “poco ispirata e poco divertente” concezione della vita, e da spendere infinite parole, ma la verità è che non ci sono tante pagine da scrivere o tante parole da spendere, perché il discorso di Wallace non è altro che un invito, una preghiera a vivere. A vivere liberi dalle proprie modalità predefinite, che non sono altro che tutte quelle false libertà che ci costruiamo fingendo di essere felici, mettendo noi e sempre e solo noi con i nostri ambiziosi progetti e i nostri assoluti bisogni al centro di tutto, essendo “i sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio”. Un invito ad attribuire con consapevolezza un significato a ogni esperienza, un significato che vada oltre il già scritto, il già detto, il già deciso, facendo ogni volta, giorno dopo giorno, una scelta senza lasciare che il nostro cervello agisca in automatico, “in modalità predefinita”, a non vivere come morti inconsapevoli che non possono far altro che accettare la loro infinita, “completa ed imperiale solitudine”.
Wallace chiude dicendo che la cultura, la vera cultura, non quella dei voti e dei titoli di studio, riguarda “la consapevolezza di ciò che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: “Questa è l’acqua, questa è l’acqua”.

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Oleh