sabato, aprile 13, 2013

Ore 00 - Dalle memorie di un sognatore.


“Allora lasciatemi dire: sono un tipo”
Così si definisce il protagonista dello splendido racconto “Le notti bianche” di Fedor Dostoevskij. Non ho potuto fare a meno di pensare a lui quando ho ripensato al tema del sogno. Il caro ragazzo, il cui nome è celato, è un sognatore per eccellenza.
Uno di quegli uomini strani che vivono in dei cantucci bui e inaccessibili dove ricreano un altro mondo, fatto di immagini e proiezioni, perdendo l'idea di tempo e spazio. La loro vita scorre senza ritmi o scadenze: da un momento all'altro si ritrovano con un anno in più alle spalle senza sapere come sia successo né quando, e senza combattere, continuano a guardare scorrere la clessidra con disinteresse.

Il sognatore, se occorre una definizione precisa, non è un vero uomo ma è un essere neutro. Sogna fino alla nausea, dimenticando i soggetti e i volti, stancandosi sino a perdere la fantasia.
Il protagonista di Dostoevskij è specchio del sognatore schilleriano ma la sua condizione è ormai compromessa: ha perso la felicità che gli stessi ideali gli procurano e non ritrova piacere nell'essere solo e unico nel mondo, il suo rifugio è ormai un antro oscuro, un luogo perso e dimenticato. Sembra quasi che non vi sia possibilità di redimersi. Ma in una notte (classico scenario per tali uomini) incontra una donna che smuove il suo animo ricoperto di ragnatele e risveglia la sua visione della realtà. Nasten'ka lo rende allegro, triste, vivo, innamorato. Ma la ragazza ha donato il suo cuore ad un altro uomo che aspetta da quasi un anno.
Nonostante il ragazzo speri che tale gentiluomo non torni e confessa il suo amore alla dama, il suo sogno reale di una vita diversa e felice è infranto dalla riconcigliazione degli amanti. Uno spiraglio di luce che subito è inghiottito dall'ombra.

Fedor Dostoevskij ci mostra il regno delle illusioni come metafora del male e ci svela la tragicità del destino umano.
Per quanto la sua narrativa non sia apprezzata propriamente da moltissimi, è uno dei pochi in grado di lasciare che il suo personaggio si delinei da solo e a rendere perfettamente il rapporto con il proprio Io. Il sognatore, per spiegare la sua condizione alla giovane amica, utilizza una sorta di monologo in terza persona, ricreando l'atmosfera di un romanzo che ha del patetico.
Nessuno vuole vivere con un sognatore, nessuno vuole parlare con un pazzo tale da essere spaventato dai suoi interlocutori. Eppure il suo animo è così nobile, sincero, limpido simile all'idea di “bell'anima” schilleriana, un uomo che grazie al suo spirito può realizzare la nuova utopia estetica. L'autore è un grande estimatore del tedesco, il quale crede che con un'educazione estetica si possa sviluppare nell'individuo tutte le virtù donategli dalla natura.

L'amore è l'unico sentimento in grado di rompere la rete di immagini creata nella mente del protagonista. Ma anche questo ha i suoi risvolti negativi propri della realtà in cui si è soliti vivere.
Purtroppo il nostro giovane è inesperto della quotidianità e così si ritrova dinanzi alla sofferenza senza saper bene come reagire.
Guarda nel vuoto, piange, si dispera come se fosse tutto nuovo, come se provasse emozioni reali per la prima volta.
Ovviamente la sua unica difesa sarà quella di ritornare a rifugiarsi nei suoi sogni, allo stesso tempo incubi, ora che confessa di aver perso la capacità di creare nuovi soggetti. Perché col passare degli anni tutto è uguale a se stesso, in un ciclo che sembra non finire mai.

L'epigolo non è inaspettato, ma è patetico: il sognatore ricadrà nel suo limbo, perdendo la sua unicità e sprecando la vita a guardare nel vuoto della sua stanza.
La cruda vendetta del destino non lascia scampo quasi a voler ammonirci a non perdere gli attimi della nostra breve esistenza, a non lasciarci sopraffare dalla paura di vivere.
Sognare è giusto, combattere per degli obiettivi è più che lecito, ma aspettare qualcosa che mai arriverà in silenzio, in un piccolo antro, immaginando ciò che vorremmo essere, è il più grande sbaglio che potremmo commettere.
Per quanto l'idea di idealista schilleriana sia affascinante, al giorno d'oggi, è quasi impossibile da attuare. Al contrario i realisti sono più consoni al nostro spirito: guardare la realtà e renderci liberi delle nostre scelte. Questo è il vero sognare.
“...vedo come vive la gente in realtà, vedo che la vita per loro non è stata preordinata, che la loro vita non si spezzerà come un sogno, come una visione, che la loro vita si rinnova eternamente, sempre eternamente giovane, e nessun'ora somiglia all'altra, mentre la mia fantasia è triste, monotona fino alla volgarità, spaventata, schiava dell'ombra, del pensiero, schiava della prima nube che improvvisamente ottenebra il sole e ricolma di angoscia un autentico cuore pietroburghese...”


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Oleh