lunedì, maggio 18, 2015

Mommy di Xavier Dolan


Mommy, uscito nel 2014, è il quinto film del giovanissimo regista Xavier Dolan, ma il primo a essere arrivato nelle sale italiane.
Io purtroppo, avendolo perso al cinema, sono stata costretta ad accontentarmi del sempre utile ma odiosissimo streaming. Aperto il computer, ho pensato che siccome avrei dovuto sopportare qualità del video e del suono pessimi, almeno avrei potuto guardarmelo in lingua originale: in francese, scelta che poi si è rivelata fondamentale.
Dolan, con una potenza e una sincerità che solo un ragazzo di venticinque anni, libero da ogni vincolo e da ogni regola, senza il desiderio di emulazione e ansia da prestazione, può avere, racconta il rapporto di Steve, un ragazzo di quindici anni affetto dalla sindrome da deficit di attenzione e iperattività, interpretato dal diciassettenne Antoine Olivier Pilon, e sua madre Diane (“Die”), una vedova di mezz’età, sfacciata, anticonformista e accesa da una grandissima energia, interpretata da una straordinaria Anne Dorval.
All’inizio della storia, Diane è costretta a portar via Steve dalla clinica a cui lo aveva affidato e a riprenderlo con se, pur sapendo che la sua vita diventerà impossibile.
I due si traferiscono in un sobborgo della periferia del Quebec e cominciano un nuovo capitolo della loro vita in una piccola e tranquilla strada abitata da vicini ai quali Diane nasconde la malattia del figlio.
Fin dal primo giorno di convivenza, vediamo quanto il rapporto tra madre e figlio sia devastante, da tutti i punti di vista, e come Steve oscilli tra picchi di amore assoluto, passionale, a tratti persino marcatamente sessuale verso Diane e scatti di rabbia feroce e violenta, che lo trasformano totalmente.
Dolan ci mostra in più di un’occasione la contraddizione dei comportamenti di Steve, che se da un lato vive per la madre, cercando di proteggerla da ogni dolore e ogni delusione e promettendole amore eterno, dall’altro, con la sua ossessione verso di lei, le rende la vita più difficile di come dovrebbe essere, e si odia per questo, tormentato dal pensiero, dalla paura, che Diane un giorno, stanca di lui, possa smettere di amarlo, che lui cessi di essere la sua “priorità”.
Die e Steve si ritrovano spesso a litigare ferocemente, sputandosi addosso frasi di una cattiveria disarmante, lei vittima della spossatezza e della rassegnazione, lui dominato dalla paura di non essere amato dall’unica persona importante della sua vita, ma un attimo dopo li vediamo lì, stretti nell’inquadratura rettangolare 1:1 come in un letto a una piazza, abbracciati, a giurarsi che non si lasceranno mai.
In questo delicato mondo di cristallo, fatto di amore passionale, violenza, urla e complicità, s’inserisce la presenza all’inizio quasi impercettibile di Kyla, la vicina di casa che abita di fronte a loro, una professoressa in pausa dal lavoro, una donna minuta, dolce, tormentata da un’eccessiva timidezza e da una grave balbuzie, che la rendono insicura e fin troppo prudente. La figura di Kyla, che in un primo momento sembra essere un particolare fuori posto nel quadro complicato della vita di Steve e Diane, una nota che stona, diventa poco a poco, e non senza incidenti di percorso, parte integrante delle loro giornate, diventando amica quasi sorella di Diane e insegnante di Steve.
E qui il regista ci fa vedere qualcosa di paradossale, di straordinariamente unico: come una madre e un figlio, traballanti e disastrati, con i loro cuori malandati e senza pudore, riescano a far sciogliere la loro vicina dalle mille insicurezze, facendola ridere fino alle lacrime e convincendola a ballare On ne change pas di Celine Dion nella cucina della loro piccola e disordinata casa. Come la coppia più problematica al mondo riesca a liberare una delicata donna benestante dalle sue paure più nascoste e profonde, essendo semplicemente se stessi, recitando la loro parte.
Kyla, da parte sua, cambia le vite di Steve e Diane, tanto da diventare quasi un terzo membro della famiglia.

Dolan riempie il suo film di tantissimi elementi spesso discordanti tra loro, dal pop degli Oasis alla Born to die finale di Lana del Rey, da Celine Dion a un rock pulsante, invadente, ma li rinchiude in un'inquadratura claustrofobica, in cui due personaggi, per coesistere, sono obbligati ad avvicinarsi, a toccarsi.
L’inquadratura si dilata solo in due scene del film, una di queste è quella in cui Steve sta correndo in skateboard, seguito da sua madre e Kyla che gli gridano di rallentare, di fermarsi, perché ci sono le macchine ed è pericoloso, ma lui continua a darsi la spinta, sempre più veloce, con le cuffie al collo e Wonderwall che quasi colpisce lo schermo. E a un certo punto fa un gesto con le mani, sembra voler separare qualcosa in aria, ma se guardate bene, sta dilatando la realtà, si sta liberando da ciò che lo imprigiona, che non lo fa respirare bene. Vi è mai capitato di voler allargare lo spazio intorno a voi per poter respirare meglio e correre più veloce?

                            

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4/ 5
Oleh