mercoledì, luglio 16, 2014

Il cercatore

Wanderer in the Storm, 1835
Carl Julius von Leypold (Germany, 1805–1874)
Oil on canvas



I
Ancora una volta per strada. 
Anche adesso non rimpiangeva nulla della sua vita, solo, continuava a covare in lui un profondo ed impellente desiderio di continuare.
Era una sensazione che avvertiva appena appena sotto la pelle. 
Iniziò la tappa successiva del suo viaggio infinito col piede destro, come faceva sempre. Perché poi? Forse perché lo aveva sempre fatto ed era sempre riuscito ad andare avanti? Strana cosa la mente degli uomini.
Come spesso gli succedeva ripercorse nella sua mente gli ultimi anni, trascorsi ad osservare chiunque entrasse nel suo campo visivo. Cercava. “Leggeva” la gente. Imparava a conoscere le persone con gli occhi. Tutto è indicativo del carattere di una persona. Ecco uno che cammina con le spalle curve, gli occhi bassi e pensierosi. I vestiti nè nuovi nè troppo lisi. Pochi capelli, e quelli che ci sono formano un’aureola bianca intorno alla testa. Sui quaranta. Sbarbato. Il passo veloce, quasi nervoso. Problemi. Senza dubbio. Non porta la fede. Nessun segno sull’anulare. Mai sposato. Mormora. 
Un’altra patetica forma di vita. “C’è chi parla da solo e chi legge la gente”, pensa col sorriso sulle labbra. Era sempre stato capace di ridere di se stesso.
Sinistro-Destro-Sinistro-Destro.
I passi si susseguono a ritmo serrato. I pensieri tornano alla donna con cui si è quasi scontrato. Rifuggiva il contatto. Odiava essere toccato. Una sola volta ci erano riusciti.
Erano quattro, lo avevano aspettato all’angolo. Appena voltato si erano lanciati su di lui. Quando lo avevano lasciato sanguinava da molti punti del suo corpo dolorante. Lo avevano sorpreso. Gli era appena successa una cosa che non riusciva a capire. 
Aveva incontrato una persona che non era riuscito ad odiare.
Quando fu dimesso dall’ospedale l’aveva cercata nelle stesse vie, scrutando con circospezione le ombre e sfiorando con una mano i muri delle case, par avere almeno un lato coperto.
Non rincontrò i teppisti, ma nemmeno la donna. Sì, perché era una donna che lo aveva fatto smarrire nei propri pensieri. Lo aveva fatto vacillare. Tutta la sua sicurezza, tutta la sua assoluta autosufficienza aveva tremato sotto l’attacco di uno sguardo sereno. Ecco cos’era stato... gli occhi... erano verdi, lo ricordava bene, ma non il verde smeraldo tanto decantato dai poeti, no... era il verde tenue e delicato dell’erba appena spuntata, un’indefinibile sfumatura tra verde e azzurro... 
Non c’era paura in quello sguardo. Niente diffidenza. Curiosità forse. Certo non di più. A lui non ci si interessava. Ma era comunque la prima volta, per quanto si sforzasse di ricordare, che non veniva guardato con diffidenza. La prima volta che non si sentisse condannato senza appello ad essere obliato.
Destro-Sinistro-Destro-Sinistro
Ricordava anche il bambino. Quattro, forse cinque anni (l’età dei bambini gli creava problemi ancora). Gli aveva chiesto una storia. “Signore, mi racconti una storia?” Gli raccontò della principessa e del garzone, di come alla fine riuscirono a far trionfare il loro amore.
Gli piaceva raccontare storie, favole...
Anche la sua vita era una storia, ma una storia che non poteva raccontare.
Una storia può avere un senso solo se qualcuno la vuole sentire. 

E nessuno voleva sentire la storia di come dopo anni lui ancora cercasse gli occhi che lo avevano fatto sentire ... umano.


II
E la sua ricerca continuava, giorno dopo giorno. Passi interminabili accompagnavano lo scorrere del tempo. 
Ieri sempre uguale a domani.
Cercando trovava molto, ma mai quello che cercava. Poteva vederli, gli occhi verdi, quando i suoi occhi erano chiusi.

In sogno... nella mente...

Anelava a ritrovare la persona che per un attimo lo aveva reso felice. Perché era questa la conclusione a cui era giunto. Quell’attimo infinito in cui lo aveva guardato aveva sctenato in lui sensazioni mai esperite: era stata felicità quella.
Sentirsi accettato, non giudicato, non essere schivato.
Nè prima di allora, nè dopo, ebbe più quella sensazione di essere “qualcuno” e non “qualcosa”.

Ebbe un fugace contatto con la felicità quella volta in cui sentì una madre ridere con suo figlio.
Il suo cuore rise insieme a loro, ma lui non era che uno strano corollario della loro risata, li sentì soltanto.

Faceva del bene, certo, ovunque potesse, ma continuava a cercare.
E cercando trovava. 
Aveva trovato indifferenza, paura, dolore, tristezza. Aveva trovato persone come lui, eterni cercatori, aveva anche trovato sorrisi. Vuoti come le persone cui appartenevano.

Spesso si trovava sul punto di lasciarsi cadere per fermarsi, ma ogni volta era come se gli occhi verdi lo chiamassero, lo spingessero a camminare. 
Non ti fermare, dicevano, se ti fermi sei perso.

E così continuava a cercare, finché un giorno...


III
Era giunto al confine dei sogni, quel luogo dal quale non c’è ritorno. Per tutta la vita aveva cercato, trovando solo cose inutili.
Una sola volta, una soltanto, si era sentito uomo.
Non c’era più forza in lui, né motivi.
Quel giorno... si fermò

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Oleh