Ho pensato a lungo a come raccontare questo libro. Non mi
succedeva da tempo. Mentalmente ho cancellato e riformulato, scritto,
tratteggiato e distrutto ogni idea che avesse l’ardire di presentarsi. Poi,
quando ormai avevo deciso di passare ad altro, mi sono ricordata l’ultimissima
pagina del libro. Quella che con la storia ha in comune non più di qualche
reminiscenza, quella dei ringraziamenti. Jojo Moyes ringrazia la sua agente, la
quale ha capito che questa altro non è che una storia d’amore. E io, all’occasione
che mai avrò, vorrei dirle che questa è un’affermazione tanto vera quanto
irrimediabilmente falsa. C’è amore, è vero. Tanto. L’amore doloroso e
terribile. Quello che, per intenderci, inzuppa di lacrime le ultime pagine. Ma
non c’è solo amore. C’è la ruvidezza vera di una vita distrutta, negata e
rifiutata. E la Moyes lo sa.
Ma ti capisco, le direi. Nemmeno io vorrei essere trascinata a forza in un
dibattito del tipo che il suo libro suscita, pubblico o individuale che sia,
condotto nell’intimo del proprio pensiero. Anche io, le direi, forse di questo
incrociarsi di intime riflessioni avrei scelto di raccontare solo quella dell’amore.
E lo dico subito, vi racconterò poco della storia. Credo
infatti che questo libro vada affrontato con mente aperta, senza pregiudizi o
preconcetti di qualsiasi sorta. Credo che il lettore lo possa amare
completamente solo se si accosta a questo libro senza sapere cosa lo aspetta.
Senza leggere nemmeno la quarta di copertina. Come ho fatto io, tanto per
intenderci.
Louisa Clark è una ragazza come tante. Da anni è innamorata dello
stesso ragazzo, ma non è appagata. Non ha un lavoro e non sa che direzione vuol
far prendere alla sua vita. Una di noi, insomma. La svolta avviene quando
accetta un lavoro per lei insolito: deve prendersi cura di un tetraplegico,
Will Traynor. Uomo bello e facoltoso, intelligente, intraprendente e dinamico
ha visto il flusso della sua vita interrompersi quando un’auto lo ha investito
nel centro di Londra e lo ha costretto su una sedia a rotelle, senza la
possibilità di muovere braccia e gambe. Lasciandogli solo la possibilità di vivere
la nuova condizione con l’ombra della terribile nostalgia a oscurargli ogni
giorno.
La storia sembra procedere su qualcosa di non detto. Tra uno
sguardo di troppo e uno troppo breve. Con un respiro che manca e uno che
ossigena il corpo tutto. È una sensazione che si miscela a un’intimità che si
crea poco a poco, tra la diffidenza dei protagonisti e l’incomunicabilità dei
mondi che abitano.
Louisa non sa cosa ci sia dietro quel lavoro. Non sa la
promessa che nasconde, le aspettative di cui è denso e le implicazioni di cui è
impregnato. Lo scoprirà poco a poco. E in quei sei mesi di lavoro che la tempra
fisicamente e psicologicamente dimostrerà tutta se stessa.
E da quel non detto, da quel mezzo silenzio, dalla tensione
che permea tutto il libro nasce un filo conduttore invisibile ma dalla forza
incontenibile. Un legame indissolubile che prescinde dal tempo e dalle beffe
della vita. Un’intimità che è estranea a molti di noi. Difficile e inesplorata.
Inusuale. Intensa. Di bellissimo e puro dolore del cuore. Senza retorica e
senza sconto alcuno sulla realtà terribile che anima la storia. Un’intimità
inaspettata.
Destabilizzante. Lo ammetto. Il finale di questo libro mi ha
destabilizzato per giorni. È andato a toccare corde che forse non sapevo di
avere, o che semplicemente avevo inconsciamente scelto di non far vibrare mai.
Ed è questa la forza penetrante di questo racconto. Non il tema sociale, non le
posizioni controverse, non le scelte che straziano l’anima e il domani. È
quanto a fondo riesce ad andare, staccandosi dall’intimità dei personaggi e
colpendo proprio lì, lì dove l’anima del lettore un po’ duole, un po’ sanguina.
Lì dove manca qualcosa, per ognuno di noi. Proprio lì dov’è stata riposta la
nostra scelta difficile. Lì dove si celano le corde che scegliamo
inconsciamente di non far risuonare mai, così da risparmiarci le subdole
destabilizzazioni nascoste ad ogni angolo della nostra esistenza.
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Io prima di te - Un'intimità che non ti aspetti
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Oleh
Unknown