giovedì, febbraio 04, 2016

Lessico famigliare

Questo è un romanzo di pura,nuda,scoperta e dichiarata memoria. Non so se sia il migliore dei miei libri: ma certo è il solo libro che io abbia scritto in stato di assoluta libertà.
N.G.

Ho provato a resistere, ma alla fine mi sono lasciato trascinare dai trend topic degli ultimi giorni. Hanno vinto in me le correnti di parole spese, spesso in altre lingue, che stanno sferzando il discutere quotidiano in tutte le sue forme. Allora, per rispondere a questa forte pressione, ho passato l'indice sui libri ben impilati alla ricerca dell'hashtag giusto e ho tirato giù dallo scaffale la Natalia Ginzburg e il suo Lessico Famigliare. Mi sono immerso nella sua lettura, in orario notturno per non disturbare nessuno, e ho mangiato più pagine di quante ero pronto a digerire.
Natalia mi ha così aiutato a declinare tutte le forme di quella aggregazione sociale che ci ostiniamo a chiamare famiglia. Come consultando un vocabolario ordinato per emozioni, sono andato alla ricerca dei Levi, dei padroni di casa Giuseppe e Lidia ovviamente, e poi dei quattro fratelli di Natalia, Paola, Mario, Gino e Alberto. Ho sfogliato le pagine per vedere dove terminasse questa famiglia, dove avrei potuto tracciare la linea del questo sì e questo no, ma ad ogni lemma, ho finito per spostare i confini sempre un po' più avanti. E' così ho incontrato Turati e la Kulisciof, gli Olivetti, Pavese, Balbo e l'Editore. Oppure tutti i Lopez e la Frances, Vittorio, Lola, Rasetti, Leone e la nutrita truppa di amici sparsi ovunque. I Terni poi e la Natalina e tutta la schiera di Regina e Margherita.





Lessico Famigliare è forse il romanzo più intimo della Ginzburg. E' una sorta di ordinata cronistoria della famiglia Levi, in cui un Io narrante (La stessa Natalia tanto per capirci)  ne presenta le vicende, che si snodano in Italia tra gli anni Trenta e Cinquanta attraverso le parole, le espressioni e gli aneddoti. Come confesserà la stessa autrice, il romanzo è stato scritto in pochi mesi (tra le metà dell'ottobre e la fine di dicembre Sessantadue) proprio perché tutto ciò che viene fuori è una massa di ricordi pronti ad esplodere. Pubblicato nella primavera del 1963 per la torinese Einaudi, sarà subito un successo.





Tutti loro sembrano essere debitori dello stesso cognome, non per parentela, non per volontà divina o naturale, ma perché custodi delle stesse espressioni, dei modi di dire, delle poesie folgoranti, delle pene e delle frustrazioni, delle manie, dei difetti e dei segreti. Un complesso sistema di parole d'ordine che costituiscono il vero metro per misurare cosa è effettivamente familiare e cosa invece è altro. Tanto da far dire a Calvino in una presentazione al romazo:
Una faniglia è (anche) fatta di voci che si intrecciano attraverso la tavola a pranzo e a cena, di rimbrotti, di scherzi, di battute slegate, di frasi che si ripetono a ogni data occasione; è un linguaggio comprensibile solo a chi lo pratica, una serie di ricordi e richiami.

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4/ 5
Oleh