sabato, ottobre 11, 2014

Songs from the Labyrinth, quando la musica incontra la musica

L’album Songs from the Labyrinth (Ottobre 2006, Deutsche Grammophon) è l’ottavo album solista di Gordon Matthew Thomas Sumner, meglio conosciuto in tutto il mondo col nome di Sting.
Assieme al liutista bosniaco Edin Karamazov, Sting esplora le composizioni musicali di John Dowland, compositore e liutista inglese, vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo.
Dowland, da Sting definito “il primo cantautore di cui si ha notizia”, scrisse, nell’arco della sua tormentata vita, decine di composizioni per liuto. Fin dalla pubblicazione del First Book of Songs (1597), Dowland divenne un riferimento per compositori per liuto e liutisti.
Può sembrare strano che un artista contemporaneo del calibro di Sting si cimenti con questo genere di musica, ma, come egli stesso afferma, “lo spettro di Dowland lo ha perseguitato per 20 anni”, fino a quando non avviene l’incontro con Edin Karamazov, secondo il mio parere, uno dei migliori liutisti viventi. Non a caso ha all’attivo collaborazioni con artisti quali Ariana Savall, Andreas Scholl e l’Hilliard Ensemble, per citarne solo alcuni.



Dowland è visto da Sting come un uomo tormentato che riesce a trasformare la sua personale agonia in composizioni sublimi e, prestando la sua voce alle parole del liutista inglese, riesce a trasmettere anche a chi lo ascolta il senso di tristezza che permea da capo a fondo l’arte di Dowland. Pezzi come “Come heavy sleep”, “Wilt Thou Unkind Thus Leave Me” e la famosa “In Darkness Let Me Dwell” toccano corde profonde.
Alternando, poi, alle canzoni brani di lettere inviate da Dowland al segretario di Stato Robert Cecil, I conte di Salisbury, Sting riesce quasi a far rivivere nelle menti di chi ascolta atmosfere di intrighi, tradimenti e inquietudini così tipiche di una corte come quella elisabettiana (pare che Dowland stesso avesse compiti di intelligence, come diremmo oggi).



La voce di Sting si presta bene al compito, supportata egregiamente dalle corde pizzicate da Karamazov. E se anche si volesse rimproverare a Sting il fatto che lui, con la voce riconoscibilissima che ha, ha ben poco del menestrello, rimane il fatto che la combinazione Sting/Karamazov riesce pienamente a rendere senza tempo queste composizioni, quasi moderne e, al contempo, quasi antiche.
Come afferma James Manheim, nella sua recensione su Allmusic: “Nel rendere sue le canzoni di Dowland, Sting ha ottenuto qualcosa mai fatta prima e forse mostrerà a qualcuno dei suoi stessi fan che la musica Rinascimentale è ben più che un contorno per le giostre – è un labirinto che ci porta verso le radici della nostra stessa cultura”.

Un album che consiglio vivamente non solo agli appassionati del genere.

Qui potrete trovare una mia traduzione di “Can she excuse my wrongs”.

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4/ 5
Oleh