martedì, febbraio 25, 2014

12 anni schiavo, lotta di un uomo libero.

Ho appena visto 12 anni schiavo di Steve McQueen e ho bisogno di scriverci qualcosa su, continuano a passarmi le immagini del film davanti agli occhi e ogni volta dentro di me scatta qualcosa ma come sempre non riesco a descriverlo in nessun modo. La cosa che ho pensato appena uscita dalla sala, oltre a tutti i commenti detti alla mia amica (anche se non sono mai tanti quelli detti a voce), è stata: “devo raccontarlo a qualcuno”, ma alla puntuale quanto fastidiosa domanda “com’è stato il film?”, la mia risposta è stata il silenzio, come sempre. Non li so raccontare a voce i film che vedo, ogni volta mi sembra di essere troppo concisa o troppo superficiale, quindi ho deciso di scrivere perché alla fine descrivere qualcosa che mi ha colpito a qualcuno che non conosco forse è meglio o addirittura più facile.

12 anni schiavo
parla della storia di Solomon Northup, un uomo di colore libero americano, di origini georgiane, che vive vicino a New York con la sua famiglia e si mantiene facendo quello che più ama al mondo: suonare il violino. Lo suona per i ricchi aristocratici della sua contea ma si sente comunque libero e felice perché nessuno lo fa sentire diverso o inferiore, a differenza delle altre donne e degli altri uomini neri lui può entrare in tutti i negozi, può guardare negli occhi i bianchi senza vergognarsi o aver paura e la sua famiglia è benvoluta da tutti.
Questo fino a quando una sera, dopo esser stato portato a Washington con l’inganno da due finti artisti di un circo, viene drogato, privato dei documenti e catturato insieme ad altri ragazzi e a Patsey, la giovane madre che diventerà la sua compagna di viaggio. Dopo un massacrante viaggio nascosti nella stiva di una barca, Solomon arriva in Louisiana, dove fin da subito lo mandano a lavorare nei campi di cotone. Cambia padrone due volte per poi essere acquistato da Edwin Epps, un pazzo ubriacone che spinge Salomon a rinnegare tutto ciò in cui crede e quello che è davvero e abbandonare ogni spirito di ribellione che era in lui solo qualche mese prima, ma continua a lavorare e a lottare per la dignità e per la libertà che SA di meritare. Non si lascia schiacciare dalla malinconia e dal dolore per non essere distrutto dalla disperazione e cerca di far forza ai suoi compagni di lavoro anche se lui è il primo a non averne, le continue umiliazioni e le intere giornate trascorse nei campi piegato sotto il sole lo hanno svuotato completamente, incomincia ad odiare anche il suo violino perché suonarlo davanti ai suoi padroni lo fa sentire un fenomeno da baraccone. Cerca disperatamente di far arrivare la lettera che ha scritto di nascosto alla moglie a New York e anche se inizialmente non ci riesce, Solomon è sicuro, nonostante i momenti di disperazione, che qualcuno prima o poi lo andrà a salvare.

Il finale non ve lo racconto, anche perché non è assolutamente quello il punto su cui mi voglio focalizzare, ma sull’amore per la vita di Solomon, può sembrare un paradosso, un uomo nelle sue condizioni dovrebbe odiare tutto e tutti e invece… Lui continua a lavorare e anche se si vergogna di aver rinnegato le sue origini, sa che tutto questo servirà a fargli riconquistare la libertà, vuole vivere. Continua ad avere fede in Dio così come tutti gli altri ragazzi che lavorano con lui ed è questa la cosa che più mi fa pensare, come possono credere ancora in qualcuno che permette che accada tutto questo? Ma questa è la domanda di tutti quelli che hanno dei dubbi e che si fanno delle domande sulla presenza di un individuo, un qualcuno di superiore, che ci protegge. Ecco, questo aspetto della storia l’ho trovato assurdo.
Concludo chiedendo a tutti quelli che a volte sono annoiati dalla solita vita piatta in famiglia o nella solita città di vedere questo film e di rifletterci su, perché anche  a me capita tantissime volte di non essere mai felice di niente e credo di poter dire che è questa la cosa più stravolgente di 12 anni schiavo: ti fa pensare a quello che potrebbe succederti in futuro e ti fa apprezzare quello che invece vivi ogni giorno, oltre ovviamente a raccontare la tragica storia di un uomo.

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4/ 5
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