lunedì, ottobre 28, 2013

Sepolta nel buio.


Non ho mai letto un libro Mistery. A dirla tutta, non sapevo nemmeno che "Mistery" fosse un genere vero e proprio. Certo, ho letto Gialli e Thriller, ma Mistery era una connotazione che mi mancava. Così, quando quelle sette lettere stampate nell’angolo in alto a destra di una copertina studiata nemmeno poi così bene hanno catturato il mio sguardo, mi sono ritrovata a pensare di quanto c’è sempre da scoprire, e di quanto la pura sorpresa possa essere un sentimento pulsante che alimenti e renda realtà le nostre scelte.
“Una trama ingegnosa che vi terrà incollati fino all’ultima pagina” promette Micheal Connelly poco sotto la piccola scritta che ormai mi ha catturato. Se ce ne fosse stato bisogno, quest’affermazione mi avrebbe convinto definitivamente.
“Sepolta nel buio” è un libro di Lisa Hunger, definita la regina della suspense americana.
Il libro segue le vicende di molteplici individui: c’è Willow, giovane e ribelle, costretta dalla madre Bethany a trasferirsi dalla vibrante e fascinosa New York in una cittadina dimenticata da Dio; Jones Cooper, poliziotto ormai in pensione spezzato dentro dalla mancanza della professione che lo ha appassionato per tutta la vita; Eloise Montgomery, sensitiva sfiancata dal dolore e dalle prove che la vita le ha inflitto e Micheal Holt, uomo colmo di domande le cui risposte da sempre si dibattono nella sua psiche.
Tutti questi personaggi, per non parlare delle loro mogli, dei loro figli, mariti o ex, padri defunti e madri dal passato incerto, sono collegati. Ed è proprio qui che risiede il genio della Unger. Non nel mistero che scrive tra le quattrocento pagine del libro, non nella trama, avvincente sì, ma neppure al cardiopalma. La sua scintilla creativa aleggia nel sottile e penetrante rapporto che pagina dopo pagina dipinge con inaudita maestria tra le personalità, le anime e le domande che vivono nel suo romanzo, apparentemente distanti, ma che finiscono per convergere in un’unica grande riflessione, che la Unger affida al mio personaggio preferito:   
“A Jones quella relazione metteva addosso un certo nervosismo: era troppo carica di passato, come tutto a The Hollows. In quella città, ogni cosa era legata a tutte le altre in un groviglio di rapporti che attraversava le epoche e le famiglie”.
The Hollows è la cittadina dove i personaggi della Unger prendono vita. Ed è forse più di questo. È una forza a se stante, un’entità autonoma, mai invadente ma sempre presente. The Hollows avvolge e completa i suoi abitanti, che vivono in un perenne stato di legame emotivo e vitale, che ne siano consapevoli o meno.
Tutto quadra, tutto s’incastra, tutto si plasma dentro e intorno a loro. E proprio in The Hollows alla fine del libro mi sono ritrovata a indicare questo filo conduttore invisibile e opprimente che permea tutta la storia.

E non si ferma qui la bravura dell’autrice. No. Proprio non ne vuole sapere. Non si risparmia la Unger, e io me la immagino seduta davanti al computer, a dar voce a ogni angoscia, ogni paura e ogni riflessione i suoi personaggi la supplichino di scrivere. Se i luoghi sono rappresentati con cura ma senza cadere in prolisse descrizioni, la psicologia di ogni personaggio, lo spessore umano e la forza vitale quasi urlano da quelle pagine. E alla fine non possiamo non pensare di conoscere Henry Ivy, preside del liceo di The Hollows, o Maggie Cooper, psicoterapeuta e moglie di Jones, di conoscerli tutti. Intimamente e al tempo stesso da lontano, come quei vicini di cui in fondo sappiamo tutto, ma con i quali non scambiamo niente più di qualche convenevole.

E allora il mistero di Marla Holt, madre di Micheal, scomparsa quando lui era solo un ragazzino, si fa perno e allo stesso tempo contorno della storia. Procede lieve, quasi in punta di piedi, fino alla sua risoluzione. E non ossessiona, non annienta la scrittura e non ne è prigioniero. Semplicemente s’incastra. Come ogni cosa sembra incastrarsi in questa storia. S’incastra silenzioso e fa quadrare ogni cosa, anche la triste storia coniugale di Paula e Kevin Carr, sottotrama di un Mistery che secondo me di sottotrama non avrebbe bisogno, ma che comunque piace. E alla fine tutto ha il sapore di una rivincita, una di quelle belle, che fa bene al cuore e placa l’anima, una di quelle che ogni personaggio, in un modo o nell’altro, sembra aspettare. Una di quelle che, in un modo o nell’altro, ognuno di noi aspetta.

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4/ 5
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