mercoledì, giugno 12, 2013

La capsula dell'infelicità del mondo.

 
Lo chiamavo così perché per me aveva un senso e perché mi è sempre piaciuto dare un nome alle cose, limitarne l'estensione con un nome, tenerle sotto controllo. In realtà si chiamava panico. La paura di uscire di casa anche per piccole commissioni, il terrore di rimanere sola e poi, come una conseguenza, l'incapacità di fare qualunque cosa implicasse un minimo di impegno: studiare, leggere, scrivere, parlare al telefono. Persino uscire con le amiche era un incubo, con me che non riuscivo nemmeno a mangiare un gelato e ad allontanarmi da casa e loro che volevano bere caffè in bar sperduti e fumare sigarette su un muretto. 

Il respiro corto, il battito sempre accelerato come fossi in corsa da sempre e invece ero ferma lì - inchiodata - da così tanto tempo da non ricordare nemmeno l'emozione del movimento.

Sentivo il panico in pancia come fosse una bomba pronta ad esplodere ma che non era esplosa ancora, una pillola piena di veleno. La capsula dell'infelicità del mondo. Sentivo di avere dentro di me una tristezza infinita ma ancora inespressa, che vagava sottopelle e minacciava di scoppiare da un momento all'altro. Ne parlavo con chiunque - con Marzia, con Sergio, con tutti coloro che amavo e che amo - ma anche mentre ne parlavo sentivo il panico risalire, come se bastasse pronunciare il suo nome per vederlo arrivare.

Poi, è andato via. E' andato via il giorno in cui ho smesso di pensarci, di fare ricerche su internet, di leggere libri di psico-qualcosa per principianti. E' andato via quando ho smesso di pronunciare il suo nome e di parlarne, ho aperto il libro di storia medievale e ho ricominciato a studiare. A suonare il pianoforte. E sebbene io sappia che le capsule dell'infelicità del mondo sono qualcosa di troppo immenso per svanire nel nulla, sebbene io sappia che parte di quel dolore è ancora dentro di me - latente - credo fermamente nella mia forza di volontà, nella gioia che ho provato quando ho sentito la paura scendermi dalle spalle come un cappotto vecchio e ho ritrovato intatta la mia vita, lì dove l'avevo interrotta.

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Oleh