Ma quando la sveglia si alzò, suonò il suo cuscino alla sua porta, ed
egli alzò il letto sotto il quale era solito dormire in piedi.
Con questa frase in testa, completamente distrutto nella mente e nel
corpo, si alzò dal letto, nel quale dormiva rigorosamente sdraiato,
possibilmente in compagnia. Il trillo pesante della sveglia, uno scampanellio
selvaggio nel suo quotidiano ripetersi ed essere accolto a male parole e
ciabattate, lo aveva risvegliato con la delicatezza di una martellata nelle ginocchia.
Ancora stordito dal sonno per nulla riposante nel quale era piombato senza
accorgersene, ancora vestito, la mente annebbiata come lo specchio del suo
bagno. Era sotto la doccia e, la mente ancora avvolta nelle lenzuola, quando
non persa tra le pieghe del manto di Morfeo, vedeva anche con gli occhi chiusi
nebbia, foschia e vapore. E una luce
“Sformata” era l’unico aggettivo che sorgeva nella sua mente, per
indicare la luce, quella luce caratteristica delle sere d’estate, la luce umida
dei laghi.
Era un pontile, uno di quei pontili in legno tipici di certe zone di
alta collina (o bassa montagna, a seconda di come girava a chi compilava le
guide turistiche) dove i laghi sono una vista comune. I suoi piedi affondavano
nel fondale fangoso da decenni, un paio di metri sotto il pelo dell’acqua, per
un paio di metri sotto terra. Inizialmente ce n’erano una ventina come quel
pontile, a distanza più o meno regolare l’uno dall’altro. Il tempo e l’incuria
avevano fatto sì che restasse solo quello, protetto dalla sua posizione e dal
caso. Erano dei bei pontili, legno di qualche albero ormai dimenticato, ormai
seccato quando il progetto dei pontili era stato approvato. Adesso, vent’anni
dopo la loro costruzione, erano crollati tutti, tranne uno. Smangiati dalle
termiti, marciti per l’acqua, sfondati da persone che non avevano di meglio da
fare. Ne era rimasto uno solo, mezzo sfondato, intarsiato di gallerie di
termiti e ammorbidito da anni e anni di onde lacustri. Ma resisteva, e ogni
domenica qualche turista si trovava per caso da quelle parti,sì imbatteva nel
pontile, lo trovava pittoresco e ci si sedeva per un paio d’ore a fissare il
lago.
Goccia dopo l’altra, come minuscoli torrenti si snodavano, creati dalla
pioggia incessante, i rivoli tra una pietra e l’altra. Non ne sopravviveva
limpida neanche una. Pioveva incessantemente da più di una settimana, ma la
polvere e lo sporco della strada continuavano persistentemente a esistere e
resistere, scurendo l’acqua e rendendola una melma viscida e grigiastra. Tra
una pietra e l’altra del lastricato c’era abbastanza spazio perché una
barchetta di carta con a bordo un soldatino di stagno potesse tranquillamente
essere un trastullo per un bambino. O anche senza soldatino, l’importante era
che non ci fossero pagliacci assassini appostati sotto il primo tombino, con o
senza palloncini. Palloncini, era dalla festa che non se ne vedevano in giro,
giù al paese. La pioggia continuava, incessante.
Dopo aver evacuato il letto con l’agilità di un pesce fuor d’acqua, si
lavò con lentezza, si vestì con spossante calma a bevve il caffè con una foga
da bradipo. Non perché fosse avanti
negli anni o provasse un gusto particolare nella lentezza, o avesse un
cerimoniale personale da rispettare la mattina, bensì perché la sua mente era
occupata da un interrogativo pressante, che incessantemente tormentava il suo cervello da quando la
mattina si svegliava a quando si sdraiava sul letto, fino a quando il sonno non
vinceva il suo pensiero stremato e il suo corpo consumato. Possedeva quella
casa? Quei mobili, quegli abiti, quelle suppellettili? O era tutto ciò
possessore del suo corpo? E la sua mente era libera?
Partendo da questo pensiero, per seguirne tutte le possibili
diramazioni e variazioni che la sua mente riusciva a concepire, era ovvio che
poi non riuscisse neanche a vestirsi senza andare ad una velocità tale da
essere superabile persino a bordo di un bidone della spazzatura vuoto. Era
successo, e non aveva provocato nella sua mente alcuna reazione che non fosse
contemplazione. Perché al fianco del suo Grande Interrogativo, componeva un
catalogo per aiutarsi a farsi strada tra le mille variabili umane che
incontrava sul suo percorso. Ovviamente non era utile per nulla, ma si illudeva
così. Non arrivava ancora a domandarsi se si fosse posto la domanda o se la
domanda esistesse già prima che la scoprisse. Quando si farà questa domanda,
nessuno può prevedere cosa succederà.
-e questa roba cos’è?
-dialoghi
-senza battute?
-non ne hanno bisogno. Sono situazioni.
-non erano dialoghi?
-sono dialoghi tra situazioni
-e che hanno tanto da dirsi queste situazioni?
-se mi lasci ascoltare, magari lo capisco.
-va bene, mi ritiro in buon ordine.
-magari, grazie.
Sanguisuga. Sgusciare. Sciacquare. Sciaguattare. Shampoo. Sciamano.
Sicilia. Sciame. Scimmia. Pulce. Salto. Alto. Malto. Birra. Vino. Novello.
Patata. Arrosto. Montone. Monte. Catena. Prigione. Sbarre. Barre. Uranio.
Polonio. Radio. Televisione. Idiota. Dostoevskij. Tolstoj. Anna. Manna. Cielo.
Pioggia. Torrente. Stagno. Sanguisuga.
Posizionare l’esca, lanciare la lenza, ciaff. Lenza in acqua. Zinn,
zinn, il pesce tira, e menomale che la canna da pesca è appoggiata al parapetto
di questo pontile mezzo marcio, altrimenti ciao ciao esca, amo, lenza e canna.
Strano che questo pontile non si a ancora crollato o non l’abbiano smantellato
come è stato per gli altri. Che dolore alle ginocchia. L’età non è più la
stessa, anche il lago lo dice, quando mi ci guardo dentro, recuperando la
lenza. Mi mancano quasi tutti i denti, mangiati dal tempo. Vengo su questo lago
da prima che costruissero i pontili, li ho girati tutti finchè non sono
crollati, uno dopo l’altro. Ed è rimasto solo questo. Da queste parti mi
ricordo solo io di quando non c’erano i pontili, e solo io ho visto l’Acqua.
L’acqua è viva, è come il sesso di una donna.
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Acqua
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Oleh
Poex