Dicono alcuni che finirà nel fuoco il mondo, altri nel
ghiaccio. Del desiderio ho provato quel poco, quella minuscola stilla di
nettare ardente che mi fa scegliere il fuoco, condannando il mondo a bruciare
espiando peccati non commessi, per il perdono dei grandi e lo schiacciamento
dei piccoli, che unica colpa hanno avuto esser figli di un dio crudele e
distruttore, un culto inumano che sempre schiavi vi fece. Vecchio stolto, che
piange ancora nel desiderio di esser rimasto in piedi, senza posare a terra il
ginocchio, gettandosi tra le catene di una schiavitù infernale, glaciale.
Si sente
un urlo dietro la collina dei funerali, è l'ennesimo muratore caduto a sporcar
la strada, ad annoiar di ciance salotti scandalizzati, dame e damerini lucidi e
imbellettati, inutili cantanti di giorni sciagurati.
Come
l'edera non ha senso compiuto questo scritto, e per questo è la più fedele
riproduzione del viaggio di una mente attraverso pensieri e parole.
Ma
d'altronde che ne sai, tu di un campo di grano, le spighe d'oro ritte come
specchio dei raggi di sole, fino all'ombra dell'ultimo sole, a pescar pensieri
e ricordi e foglie e bocche d'oro tra i narcisi, a guardar da lontano i bambini
giocare e scavalcare cancelli, bevendo lentamente alla coppa che mai potremo
afferrare con forza per, finalmente, dissetarci. Il cuore è impazzito, non
ricordo più cosa fu, se il cappello floscio o il vento ormai posato, la cui
carezza non avrei più sentito sulla pelle stanca, sul naso lungo.
Tu, regina
ombrosa, fastosa nel tuo mantello, che porti come una corona la catena di
maledizioni che centinaia di amanti a pagamento ti hanno lasciato, stracciona
nei tuoi occhi vedo il trono abbandonato di una gentilezza mancata, di una vita
violata. Tu, puttana a quattordici anni, a sedici già la disillusione ha fatto
non breccia, ma con la forza di un martello si è annidata dietro le tue pupille
con l'ineluttabilità di una morte, la tua.
Tu
barista, custode un po' laido di segreti e passioni e vittorie e sconfitte e
dio solo sa cos'altro, hai ancora quel tuo vizio di sputare nelle tazzine dei
clienti nuovi? Sei ancora dalla parte della sempre più sparuta schiera di saggi
baristi cui non manca mai la parola giusta sulle labbra?
-Non lo sono mai stato, sicuro di essere ignorante, sapiente.-
Tu,
barista, che ogni giorno vedi passare centinaia di persone, e senti le loro
parole, i loro pianti, la loro vita si condensa in quei pochi minuti di
caffeina, come l’aria intorno al bicchiere d’acqua rigorosamente gelata in ogni
stagione, che sempre deve accompagnare la tazzina bollente. Che senso ha? È una
metafora? E di che? È una vendetta? Per che cosa? Sono queste le domande che ti
poni ogni volta che prepari un nuovo caffè, che riempi un altro bicchiere
d’acqua, giudicando e ora mettendo a morte ora graziando la vasta umanità della
quale sei spettatore e parte ogni giorno, separato da loro dal tuo stesso mezzo
di sostentamento. Perché il bar è un servizio che viene offerto, e tu, barista,
non sei una persona, sei il “barrista”, o “il ragazzo del bar”, non sei che per
pochi Nunzio, Pio, Giovanni, Francesco.
E qualche
volta, quando il bar è vuoto e solo uno sparuto avventore è lì, curvo sulla
tazzina, fermo, affrettato ma non frettoloso, lo guardi. E lui, nonostante la
fretta, beve con calma, cosciente del tuo sguardo, che tu sai essere traditore,
infame. Sai guardare le persone in modo tale che in pochi secondi sono lì,
chine sul bancone, muro di cinta della tua cittadella fatta di caffè e cornetti
e cappuccini e conchiglie. E ti raccontano. Ti raccontano di un lavoro che
manca, di una donna che non c’è, di un sogno frustrato, di un delitto appena
commesso. Sì, una volta è entrato anche uno che aveva appena accoltellato la
moglie. Le mani arrossate ma asciutte, il maglione zuppo di sangue. Non hai
battuto ciglio, gli hai servito un primo caffè, il secondo caffè, il terzo te
lo ha chiesto corretto. Il quarto non gliel’hai servito, perché il tempo di
girarti e prepararglielo (ma ti ricordi che te l’aveva chiesto corretto anche
quello) ed era scomparso. Non l’hai neanche rincorso per farti pagare. Sei
rimasto arroccato nel tuo forte.
Non hai
osato neanche quella volta scavalcare, uscire. Sei cosciente del tuo essere
barista saggio, così come sai che Nunzio, Pio, Giovanni o Francesco non lo
sono.
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Barista di confine (continuazione Scritto Infestante No.1)
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Oleh
Poex