martedì, aprile 07, 2015

Anime Salve


Stavolta per raccontarvi quello che mi passa per la mente e per riempirvi la testa di cose che sicuramente piacciono a me, ma che spero piacciano (un po') anche a voi, comincerò da un punto di partenza diverso dal solito, che proprio perché nuovo rappresenta una sorta di sfida, di rischio, di cui non conosco l'esito finale, e di conseguenza non posso far altro che sperare che da questo particolare esperimento esca qualcosa di decente. Questa volta, dicevo, userò come trampolino di lancio l'articolo di Gabriele sul disco di De André "La buona novella", che potete leggere qui, in una sorta di collaborazione a distanza, di percorso a tappe alternate che cercheremo di incastrare l'una con l'altra.

Riprendendo il filo del discorso di Gabriele, faccio qualche passo e vado avanti di qualche anno, precisamente fino al 1996, al disco forse più famoso di De André, considerato tra l'altro il suo testamento spirituale, il suo regalo finale a un mondo disordinato: Anime Salve. In molti, in passato, mi hanno detto che questo è forse il più "commerciale" dei dischi del cantautore di Genova, ma io ho sempre risposto, con la classica irrazionalità tipica di un innamorato perso, che, benché non credo sia vero, non mi interessa neanche, non mi interessano altro che quelle musiche provenienti dal Brasile, dalla Genova antica, da tradizioni mediterranee e balcaniche che mi emozionano ogni volta come se fosse la prima, quei testi che sono storie di vita, di strada, di porti, di mari e ancora storie di umili, di dimenticati, di solitudine.
Anime Salve
è, così come l'ha chiamato lo stesso De André, un 'elogio della solitudine', non una solitudine che separa, annienta, uccide, ma una solitudine che permette di staccarsi dalla cattiveria dell'uomo organizzato in masse, in gruppi, in maggioranze opprimenti, soffocanti. Una solitudine che, anche se dolorosa, fa essere liberi e non prigionieri. Una solitudine raccontata in tutte le sue forme: quella dei Rom di Khorakhané, quella del transessuale di Prinçesa, e dell'innamorato disperato di Dolcenera.

In un disco che ha le parvenze confuse di una grande opera letteraria, De André sembra compiere quasi un viaggio nell'anima più profonda del mondo degli ultimi, da lui tanto amati e tanto cantati, dei derelitti, degli appartenenti alle minoranze per destino o per scelta, cambiando scenario di canzone in canzone e ricamando parole a volte delicate, a volte schiette e arrabbiate, su melodie d'altri tempi. Si passa con leggerezza dalla Sardegna violenta di Disamistade, alla Genova inondata di Dolcenera, fino ad arrivare alla bella Nina di Ho visto Nina volare, piccolo amore di un De André bambino.


« [Anime salve] trae il suo significato dall'origine, dall'etimologia delle due parole "anime" "salve", vuol dire spiriti solitari. È una specie di elogio della solitudine.
Si sa, non tutti se la possono permettere: non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati. Non se la può permettere il politico: il politico solitario è un politico fottuto di solito. Però, sostanzialmente quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l'universo: dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni
anche per gli altri. [...]

                  (Fabrizio De André, Elogio della solitudine, tratto da Ed avevamo gli occhi troppo belli)

E come un padre lascia in dono al figlio la propria saggezza, il proprio amore, la propria visione del mondo, De André ci lascia, con l'ultimo brano del disco, Smisurata preghiera, il suo messaggio definitivo, in un immenso atto d'amore che non può far altro che lasciarti con una tristezza incontrollabile e infinita, una tristezza che può procurarti solo una preghiera, appunto. Una preghiera collettiva, oppure una preghiera di un padre arrabbiato per il dolore che il figlio ha dovuto sopportare e preoccupato che possa soffrire ancora. Una preghiera smisurata perché senza confini di spazio, di tempo, disperata, d'amore verso le minoranze, e di cui non si conosce il destinatario, forse quello che in molti chiamano Dio, o magari la fortuna, la sorte. Ma in fin dei conti si sente solo una voce, potente, profonda, e se vi mettete bene in ascolto, vi sembrerà forse arrabbiata, accompagnata da un sottofondo che, nonostante sia appunto un sottofondo, non passa inosservato, perché quando la voce si ferma, la musica continua, in un crescendo che inonda, spazza via tutto e mette fine al disco.

" L'ultima canzone dell'album è una specie di riassunto dell'album stesso: è una preghiera, una sorta di invocazione... un'invocazione ad un'entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifichiamo queste entità parentali, immaginate così potentissime come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l'invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze.
Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi... dire "Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni..." e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze. La preghiera, l'invocazione, si chiama "smisurata" proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso."

Mi scuso se ancora una volta non sono riuscita ad essere obbiettiva, formale, precisa nel dare informazioni e giudizi, se qualcuno di voi me lo facesse notare, gli darei senza dubbio ragione, ma come sanno bene quelli che hanno la sfortuna di avermi spesso intorno, quando si parla di De André, non ho obbiettività, formalità o precisione, ma solo, come dicevo prima, la classica irrazionalità tipica di un innamorato perso e quindi, anche se non volete, dovrete perdonarmi.

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4/ 5
Oleh