sabato, gennaio 24, 2015

Porto Sepolto




Il duemila e quindici, per l’Italia vuol dire cento. Cento anni dall’entrata in guerra. La Prima Guerra Mondiale. La Grande Guerra. (Scusate tutte queste maiuscole, tutta questa retorica, ma è essenziale per entrare nel clima di inizio secolo. Quello scorso per intenderci). Per non far mancare un occhio prudente sulla ricorrenza, mi appresto a parlare, per pochi istanti, di un tenente. Al secolo Ettore Serra, nato a La Spezia nel 1890 e di stanza al Carso agli inizi del 1915. Sulla stessa linea di trincea del Carso, c’è tra tutti un certo soldato - rimandato dall’addestramento ufficiali perchè non ritenuto idoneo - che presta servizio nel diciannovesimo reggimento di fanteria. Questo suddetto soldato non brilla certo per l’attenzione e la pulizia alla divisa e, come se non bastasse, in un preciso pomeriggio di estrema stanchezza, dimentica addirittura il saluto proprio al passare del tenente Serra. Quest’ultimo, invece di fare rapporto e probabilmente mandare davanti al plotone di esecuzione il giovane soldato (si ricorda che la pena capitale in quel frangente veniva distribuita più o meno come oggi diffondiamo smile) finisce per appassionarsi alle sue parole strette strette, contingentate dal tempo. Sono parole queste,  annotate su “ cartoline di franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere ricevute, sui quali da due anni andavo facendo giorno per giorno il mio esame di coscienza, ficcandoli poi alla rinfusa nel tascapane, portandoli a vivere con me nel fango della trincea o facendone dei capezzali nei rari riposi, non erano destinati a nessun pubblico.”
    Prova anche solo per un istante a immaginare questo soldato, un po' trasandato, portarsi dietro nelle sue tasche, magari anche sgualcite e senza un ordine preciso, parole come: Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, oppure Sono un frutto di innumerevoli contrasti d’innesti maturato in una serra, o ancora Balaustrata di brezza per appoggiare stasera la mia malinconia, Il carnato del cielo sveglia oasi al nomade d'amore. Steso nel fango della trincea, tra i rimasugli di paesi feriti, tra gli umori dei suoi compagni, portava in segreto piccoli sprazzi di bellezza. E prova ancora a pensare se solo uno degli eventi che ho appena citato non fosse andato in questa precisa combinazione, tenta di figurarti cosa avremmo mancato di leggere. Senza scomodare ospiti ingombranti come Dio, il destino o il Fato, ogni volta che ci rifletto mi piace convincermi - forse un poco ingenuamente - che nell’aria persistano forze. E non tutte per giochino per il male.
    Tornando al nostro tenente, questi rimase così folgorato dalla potenza di quelle parole stropicciate da decidere di finanziare la raccolta degli scritti, in una pubblicazione con tiratura di ottanta copie. Nacque così Porto Sepolto: il primo nucleo dell’intero lavoro di Giuseppe Ungaretti,  e uomo del nostro Novecento. Sono già presenti in esso molti dei temi cari al poeta, forse in forma acerba, appena abbozzati, ma mai come in altre occasioni colmi di vita e di colore. Tra tutte le poesie raccolte nel Porto Sepolto, mi piace ricordarne una in particolare, che da sempre mi accompagna.


FRATELLI (15 luglio 1916)

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

Condividi

articoli simili

Porto Sepolto
4/ 5
Oleh