martedì, novembre 04, 2014

Il giovane favoloso



"La sfida era pronunciare quelle parole senza declamarle, dire quei versi portandoli nella carne, nella quotidianità. Ho cercato di non pensare di essere un attore che recita una poesia, ma di immaginare di essere la persona che li ha scritti. Mi sono immedesimato in un Leopardi che li stava rileggendo, li provava per vedere se funzionavano. La mia grande fortuna è stata che ho avuto un grande sceneggiatore. Ogni battuta che pronuncio nel film proviene dai suoi scritti: lettere, poesie o saggi. Una cosa folle per un attore al cinema, ma un grandissimo regalo".
Queste, alcune tra le tante, sono parole pronunciate da Elio Germano, il Leopardi del nuovo film di Martone: Il giovane favoloso, presentato al Festival di Venezia a settembre. “Più che una sfida, che presupporrebbe un risultato,” dice anche l’attore romano durante la conferenza stampa ufficiale, “girare questo film è stato un trampolino di lancio, un magnifico tuffo", un tuffo che molti temevano non sarebbe stato dei migliori ma che invece, secondo me, è riuscito benissimo.
Ciò che ha permesso a Martone e (soprattutto) a Germano di eseguire un ottimo salto, è stata forse la preparazione preliminare alle riprese, il regista e i suoi attori si sono mossi per quattro mesi quasi in simbiosi in giro per Recanati e tra i magnifici colli circostanti per osservare gli ambienti, i cambiamenti di luce del paese e i luoghi dove Leopardi ha vissuto i suoi primi vent’anni. Germano ha dormito sul letto del poeta, ha scritto sulla sua scrivania e letto molti dei suoi testi per poi poterli recitare con passione e trasporto cercando di capire e far propri i suoi pensieri sfuggenti, “liquidi” e indefiniti, per sentire con tutto sé stesso il significato di quelle tante lettere scritte con imprudenza, quei versi sognatori e innamorati, quei saggi tanto autobiografici quanto universali. E cosa più difficile, dice sempre Germano, è stato tradurre la vita di Leopardi, che fa delle emozioni, dei sentimenti la propria casa, in riprese, i suoi pensieri dai contorni sfocati in scene a cui assistere al cinema.
Il regista si sofferma in particolare sui rapporti sociali del poeta, da quello complicato con la famiglia a quello con l'amico Ranieri, e non potendo menzionare tutti gli accenni biografici, spesso copre i buchi tra un avvenimento e l'altro con toppe fin troppo visibili che appaiono scollegate e isolate dal resto della storia. Martone dirige splendidamente Germano che dà vita in primo luogo a un Leopardi che si sente prigioniero a Recanati, nel "natio borgo selvaggio", i boschi, le strade, le case che da bambino aveva amato alla follia, ora hanno le sembianze di una gabbia, una prigione da cui riesce a evadere solo componendo versi e scambiandosi delle lunghe lettere, che a tratti assomigliano a richieste di aiuto, con l'amico e maestro Pietro Giordani, grazie al quale aumenterà sempre di più il desiderio di Giacomo di andar via da Recanati, per conoscere la vita vera. In trappola tra la famiglia che lo vorrebbe monaco e il padre che lo costringe nella sua biblioteca, Leopardi sembra diventare ogni giorno più intollerante e Germano è bravissimo a dar voce, anche solo attraverso le espressioni del volto, alle sofferenze, alla furia del poeta che scaraventa la sedia a terra mentre urla contro il padre "Io odio questa prudenza che rende impossibile ogni grande azione, padre".
Dopo un breve squarcio su Roma, Martone si sofferma a lungo sulla nuova vita del poeta, prima a Firenze, poi a Napoli, sul suo tentare di uscire allo scoperto, di smettere di vivere in un mondo di cristallo fatto di emozioni e mondi immaginari e di partecipare a quella che gli altri chiamano "vita reale". Si alternano scene di eventi mondani in cui Leopardi si sente fuori posto e sempre più infelice a incontri con poeti, scrittori, i cosiddetti "letterati" che cercano di convincerlo a scrivere versi, opere più allegre, il pubblico si sta allontanando da lui , è stufo della sua tristezza. A chi cerca di giustificare il pessimismo del poeta con le sue sofferenze fisiche risponde: "Non attribuite al mio stato quello che si deve al mio intelletto". Leopardi non concepisce "masse felici di individui infelici", scrive di sé stesso, non cerca la fama, la gloria, è innamorato della vita, dell'amore, della passione, trascrive in versi la sua infelicità, cercando qualcuno che stia lì ad ascoltarlo, ma quasi mai lo trova.
Accompagnato da una bellissima colonna sonora, Germano continua a dar vita, per tutto il film, urlando pieno di ira o con la voce ridotta a un sospiro, alle poesie di Leopardi, senza mai abbandonare la sua passione, il suo amore.
E così è anche il film: pieno di emozioni, fuoco, vita.


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4/ 5
Oleh