martedì, febbraio 18, 2014

A proposito di Davis, odissea di un'esistenza.


“Abbandonare la musica? Smettere di vivere, limitarsi ad esistere?”

Questa è una delle frasi più belle di A proposito di Davis, il nuovo film dei fratelli Coen, ispirato alla storia vera del cantante folk Dave Van Ronk.

Siamo in una New York grigia e autunnale, precisamente nel Greenwich Village del 1961 e Llewyn Davis è un cantante di brani folk che trascorre faticosamente la sua esistenza camminando sotto la neve senza cappotto e con un gatto arancione in una mano e la custodia della sua inseparabile chitarra nell’altra. Suona una sera sì e una no in una bettola davanti a quelle poche persone disposte a pagare qualcosa per vederlo e vive sperando di “trovare qualcuno che non lo odi ancora a New York” che gli presti dei soldi e un divano dove trascorrere le sue inquiete notti. Ha un rapporto conflittuale con tutte le donne con cui è stato che, per essere sinceri, lo odiano, dicono che è superficiale, pigro e illuso, un fallito che rincorre penosamente il suo sogno senza mai concludere nulla. Ma Llewyn ignora tutti con quel suo modo di fare sprezzante e ironico e continua a camminare sprofondando nella neve, a viaggiare in metropolitana ricambiando lo sguardo delle persone incuriosite da lui, a cercare qualcuno che ascolti la sua musica.
La cosa più sconvolgente e particolare di questo film è che ci si aspetta, o almeno io me l’aspettavo, un finale, un epilogo di questa struggente storia o perlomeno un qualcosa che faccia sperare in una vita migliore per Llewyn, ma alla fine ci si accorge, dopo pochi minuti dall’inizio del film, che il suo è un viaggio che non porta da nessuna parte. Llewyn ha un approccio al futuro molto particolare, non ci pensa o probabilmente lo fa, ma secondo lui è così lontano che è inutile anche preoccuparsene. Non ha la minima idea di cosa possa esserci nel suo futuro, pensa ad un viaggio sulla luna, a delle case volanti o agli alieni.  La cinepresa lo segue semplicemente nelle sue giornate e il film non è proiettato verso una fine, sono solo sprazzi di esistenza del cantante folk Llewyn Davis che compie il suo viaggio con il gatto Ulisse e con la sua Gibson. Più semplice di così…

Pensavo, ci vuole un bel coraggio ad essere come lui, come Llewyn intendo, ad inseguire il proprio sogno, ad accettare di vivere male piuttosto che limitarsi ad esistere e a trascinarsi sapendo di non star vivendo, ma sopravvivendo.
Ci vuole bravura per non pensare al futuro, per vivere il presente con una passione folle, senza guardare a quello che verrà dopo, ci vuole coraggio per rinunciare ad inseguire i sogni borghesi di una casa grande, di uno stipendio fisso, di una famiglia tradizionale e di una vita vuota, per inseguire l’amore, il sogno di una vita, quello stesso sogno che ti fa vivere e non esistere. Anche perché forse, e dico forse, in quella casa grande ci perderemo, sentiremo il riverbero in ogni stanza e ci sentiremo irrimediabilmente soli e vuoti e non c’è niente di peggio che sentirsi soli pur essendo circondati da tante persone. Non saremo contenti neanche un po’ della nostra vita, ci guarderemo intorno e capiremo finalmente di aver sbagliato qualcosa durante il percorso ed è a quel punto che dovremo scegliere:  o faremo un passo indietro per ricominciare oppure continueremo a fingere di non aver mai sbagliato niente e cammineremo nella nostra bella casa con un enorme sorriso stampato sulla faccia.




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