domenica, novembre 24, 2013

Tutta un'altra musica.


Può un passato che non vuoi lasciare andare mostrarti alla fine il suo volto più beffardo?
"Tutta un’altra musica", che io amo ricordare con il suo titolo originale "Juliet, Naked", spoglio della banalità della traduzione, non è solo una storia sull’ossessione per un certo tipo di passato, ma è una storia in cui il passato stesso si fa presente e ti cambia la vita.
Annie e Duncan sono una coppia che odora di logoro e stantio. Vivono a Gooleness, sulla costa inglese, dove condividono una casa in cui il sentimento della condivisione sembra essere rimasto sull’uscio. In attesa. Annie è l’emblema della vita che va avanti, di come un sentimento possa nascere, svilupparsi e consolidarsi senza che però gli individui seguano esattamente lo stesso percorso. Annie vuole andare avanti con la sua vita. Vuole andare avanti col suo rapporto e allargare la famiglia. Duncan è invece legato, ossessionato per meglio dire, a un cantante che è sparito nel nulla ormai da anni, Tucker Crowe. Egli è un vero e proprio idolo, magnificato all’estremo anche grazie alla sua uscita di scena oltremodo misteriosa, per Duncan e uno sparuto gruppo di persone sparse in tutto il mondo, che sentono l’impellente necessità di ritrovarsi su un sito internet condividendo la loro passione per un cantante ormai scomparso dalle scene.
Ma l’occasione per i suoi instancabili fan è da manuale quando, senza preavviso alcuno, dal nulla sbuca fuori una versione mai ascoltata prima del suo album Juliet, ribattezzato Juliet, Naked. Nell’inarrestabile vortice frenetico che sconquassa le vite degli irriducibili fan di Crowe, Hornby opera una svolta della storia a dir poco geniale quando mette in contatto Annie e Tucker Crowe in persona.  
L’iniziale scambio di email prende la forma di un fluire d’intenti, di una condivisione emozionale che supera le distanze del computer. Supera le barriere di internet e il freddo insofferente dello schermo. E finisce per un unire. Unire e consolidare idee e parole che si perdono nell’etere. Unire due esistenze così diverse e distanti. E forse rivoltarsi contro la venerazione ossessiva di un fan innamorato più del suo idolo che della sua compagna. Forse.
Nick Hornby disegna con pazienza personaggi così veri da far paura. Così veri che alla fine non sai più se li hai letti o proprio incontrati. Disegna situazioni e relazioni con meccanismi narrativi che tengono il lettore incollato sino all’ultimissima parola dell’ultima riga dell’ultima pagina. Senza possibilità alcuna di togliere gli occhi dalla storia. I ritratti generazionali che scaturiscono dalle sue pagine sono tratteggiati senza ampollose descrizioni e resi con la crudeltà che è propria del reale.
Ecco che quindi la Annie che si sente ingabbiata nella sua stessa vita e cerca di cambiarla con tutta se stessa, Duncan che non rinuncia alle sue passioni adolescenziali e proprio non si lascia ingannare dagli hobby e dalla naturale piega che una vita dovrebbe accogliere dopo alcuni anni, e perfino Tucker, venerato da pochi e con un’esistenza tutt’altro che da Star in pensione vivono un poco, anche solo un poco in ognuno di noi. Si agitano e si mescolano nel correre delle nostre esistenze come se Hornby li avesse immaginati attingendo un po’ qua e un po’ là, lungo una strada affollata.
Ed è questo che amo di Hornby. La realtà dentro la fantasia. Come i suoi racconti si facciano specchio, a volte beffardo, a volte crudele, a volte perfetto in modo disarmante, del trascorrere della vita, coniugando passato e presente nell’economia d’intere esistenze. Senza servilismi, senza sconti e con coraggio. La vita, appunto, fatta romanzo.

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4/ 5
Oleh