mercoledì, gennaio 09, 2013

Ore 12 - "Guarda bene, fratellino." ovvero Lo sguardo "prudente" del cinema

"Non giudicare mai le cose dal loro aspetto, nemmeno una valigia: io non lo faccio mai."
(Mary Poppins, Robert Stevenson 1964) 


Da bambina adoravo Mary Poppins. Sono cresciuta con Feed the birds, le cattedrali in miniatura dentro le sfere di vetro e la carta da parati di casa Banks. Rivedere il film a vent'anni ha tutto un altro sapore: improvvisamente, prendono corpo l'esplicito riferimento al femminismo, l'ipocrisia della signora Banks che indossa la striscia "Vote for women" ma poi si rivolge con un costante "Sì, caro" al marito maschilista; i bambini Jane e Michael che affermano con drammatica sicurezza di non essere amati dal padre, la risata dello zio Albert che sbeffeggia il mondo dall'alto del suo soffitto. Non giudicare mai le cose dal loro aspetto, ammonisce Mary Poppins, quando Michael la vede tirar fuori un appendiabiti dalla sua valigia. Poco oltre, ci parlerà di persone che non sanno vedere al di là del proprio naso. Il mondo di Mary è fatto di questo: di realtà nascoste sotto la patina del nostro non saper guardare, di disegni sull'asfalto nei quali è possibile trovare una strada, un ponticello e una giostra coi cavalli. Tutto sta nel saper guardare oltre.

"Guarda bene, fratellino, guarda bene."

(Arancia Meccanica, Stanley Kubrick 1971)



A quasi dieci anni da Mary Poppins ci troviamo dinanzi ad un film diametralmente opposto: Arancia meccanica. Stabilire un legame tra i due film potrebbe sembrare assurdo se non impossibile, eppure un fil rouge c'è, ed è tutto racchiuso in quel "Guarda bene, fratellino" che Alex sussurra dritto nell'occhio della telecamera, poco prima di violentare una donna. L'invito al "guardare" è, in realtà, un ordine a non distogliere lo sguardo dalla violenza del mondo, dalle brutture. Lo spettatore, dunque, non è più un semplice voyeur, ma è complice delle azioni di Alex e dei Drughi. Non a caso, anche la "cura" che sarà imposta al protagonista per guarire dalla sua fame di violenza passerà proprio attraverso lo sguardo: Alex sarà costretto a guardare per ore filmati di guerra senza poter mai abbassare le palpebre, sino a giungere alla nausea nei confronti della criminalità. Nel film, l'occhio è protagonista: basti pensare alla locandina, dai gemelli a forma di globo oculare della camicia di Alex allo sguardo dello stesso Alex in secondo piano. Uno sguardo marcato dal trucco che un po' mira a ingrandire l'occhio, e un po' ci ricorda il make-up tipico del precedente decennio, gli anni '60. un decennio di cui il film critica apertamente gli ideali.


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E viene spontaneo concludere con i versi di Valerio Magrelli, "poeta del corpo" per antonomasia:

Sto rifacendo la punta al pensiero, 
come se il filo fosse logoro 
e il segno divenuto opaco. 
Gli occhi si consumano come matite 
E la sera disegnano sul cervello 
Figure appena sgrossate e confuse. 
Le immagini oscillano e il tratto si fa incerto, 
gli oggetti si nascondono: 
è come se parlassero per enigmi continui 
ed ogni sguardo obbligasse 
la mente a tradurre. 
La miopia si fa quindi poesia
dovendosi avvicinare al mondo 
per separarlo dalla luce. 
Anche il tempo subisce questo rallentamento: 
i gesti si perdono, i saluti non vengono colti. 
L’unica cosa che si profila nitida 
È la prodigiosa difficoltà della visione.

(Valerio Magrelli, Capaci di sguardo, in Ora serrata retinae)

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4/ 5
Oleh