lui ha più vesciche che capelli, più ossa che anima, e negli occhi acquosi, ottenebrati dalla tristezza e dall'eterna speranza nell'oblio, vana. avrà massimo una trentina d'anni, ma ne dimostra almeno il doppio. la pelle, di un pallore spettrale che pare di vedere un morto, casca a pieghe dalla gola e sotto gli occhi ha borse per riempire banchi su banchi di ambulanti.
gli occhi da stella ottenebrata, mistero insvelato, lei cammina a testa alta, bestemmia di se stessa, incosciente portatrice e dispensatrice di frutti, incarnazione della dea terra tanto cara.
lui le chiede aiuto, e il loro sguardo s'incrocia, per un istante.
lui si alza, lei gli porge la mano e parlano. lei s'accovaccia, lui si siede con lei sotto un porticato dove ha poggiato dei cartoni e delle coperte quasi asciutti. parlano, lei è una studentessa universitaria, lui ha insegnato per un po'. ha fatto anche l'attore. ma adesso è solo uno dei tanti derelitti, ce ne sono a centinaia, che popolano la strada e vivono la notte come nutrendosi di essa, senza altra vivanda.
lei, vivanda e vivandiera è la prima scintilla di calore da tre anni, dal giorno in cui si è ritrovato indesiderabile e indesiderato alla famiglia, agli amici, al lavoro e, in ultimo, alla società civile.
lei è l'unica àncora di salvezza di un mondo chiuso, l'ultima scintilla di luce del fuoco morente.
ma è solo un istante, e lo sguardo s'interrompe. entrambi si chiedono, sgomenti, se sia davvero esistito, quello sguardo. entrambi, sconvolti, si domandano se hanno pensato le stesse cose. entrambi, sbigottiti, tentennano nel cercare di ripetere quella magia, quel miracolo, e alla fine lei gira l'angolo e lui, nel buio, muore.
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Io vedo il futuro. Io parlo di me in terza persona.
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Oleh
Poex