domenica, settembre 22, 2019

Equinozio d'autunno: data, significato, tradizioni e leggende


Da sempre uno dei momenti più magici dell'anno, l'equinozio d'autunno è sempre stato oggetto di racconti, di trazioni e di leggende. Nel 2019 questo cade il 23 settembre, e per questo Prudence Magazine in questa data ha deciso di raccontarvi qualcosa in più sul primo giorno d'autunno.

Seppure a scuola abbiamo imparato che ogni stagione cambia il giorno 21 del suo mese d'inizio/fine, anche quest'anno l'equinozio d'autunno cade il 23 settembre, esattamente alle 9:50 ora italiana. Come mai?

Equinozio, dal latino aequĭnoctĭum, letteralmente significa che la durata della notte è identica a quella del giorno. Il disco del Sole resta lo stesso numero di ore al di sopra e al di sotto dell'orizzonte. In realtà non cade quasi mai il 21, ma solitamente il 22 o il 23.



Da dove arriva il calcolo e la celebrazione di questa data? Nel calendario gregoriano, la data fondamentale, sulla base della quale si calcola anche la Pasqua, è l'equinozio di Primavera, il 21 marzo. In base a quella, si calcolano gli equinozi e solstizi. Però, dato che la rivoluzione della Terra attorno a se stessa è differente da quella intorno al Sole, si accumula sempre un ritardo che fa sì che l'equinozio d'autunno si alterni: per due anni cade il 22 settembre e gli altri due anni il 23 settembre.

Nell'antichità questo giorno veniva ricordato come quello durante il quale le forze del bene e del male sono in perfetto equilibrio, come il giorno e la notte. In molte culture è un giorno di culto, o lo è stato in passato.

Nelle tradizioni contadine veniva celebrata la festività di Mabon, il giovane dio della vegetazione e dei raccolti e figlio di Modron, la Dea Madre, tratti dalla cultura celtica gallese. Rapito tre notti dopo la sua nascita, venne imprigionato per lunghi anni fino al giorno in cui venne liberato da Re Artù e dai suoi compagni. Il suo rapimento è l’equivalente celtico del rapimento greco di Persefone: un simbolo evidente dei frutti della terra, immagazzinati in luoghi sicuri e poi sacrificati per dare la vita agli uomini. Infatti Mabon è il tempo del seme, di raccogliere i semi dagli ultimi frutti ben maturi ma anche il tempo dell’Acqua, l’elemento corrispondente a questa porta cardinale, l’elemento dell’Ovest.


In molte culture del passato l’equinozio assumeva valenze esoteriche e venivano celebrati al suo arrivo riti “misterici” di cui sappiamo poco, proprio per il loro carattere di segretezza. Nell’antica Grecia si celebravano in suo onore i Grandi Misteri Eleusini, riti che rievocavano, come accennato prima, il rapimento di Persefone, figlia della dea Demetra, che regola i cicli vitali della terra, condotta negli inferi dal dio Ade per farla sua sposa. La leggenda racconta che Demetra, in segno di lutto, rese impossibile il germogliare delle sementi e delle piante e sterile la terra fin quando non riebbe sua figlia. In entrambi i miti, quello di Mabon e quello di Persefone, ciò che viene ciclicamente rivissuto ad ogni autunno è il sacrificio del dio/dea che, dopo le gioie amorose della primavera e dell’estate, dopo aver dato con la massima potenza fecondante i frutti a tutti gli esseri viventi, è costretto/a a declinare nel buio della Terra.

Nella cultura cristiana il 29 settembre viene festeggiato San Michele: infatti dai bizantini il culto dell’Arcangelo Michele dilagò rapidamente ovunque, diffuso soprattutto dalla popolarità che godeva fra i soldati: a San Michele Arcangelo è infatti attribuito il compito della lotta contro le Forze del Male. Egli è dunque il protettore dalle insidie che provengono dalle forze oscure, la roccaforte della Luce. Ma San Michele Arcangelo è rappresentato iconograficamente anche come “pesatore di anime”, recando in mano una bilancia e proprio sotto il segno della bilancia, costellazione in cui ci si appresta ad entrare con l’equinozio, il ciclo è concluso, la pianta muore e si disgrega: le piogge autunnali ne fanno un tutt’uno con il fango.



L'equinozio è quindi un  momento di bilanciamento tra bene e male, tra vita e morte, e di grande energia della terra, secondo le leggende e i culti antichi.

Nei paesi di origine celtica ogni anno si celebrano molti festival in onore di Mabon e dell'equinozio d'autunno. Anche in Italia centrale ci sono molti festival legati a questa data, alcuni ispirati anche alla stregoneria o ai riti wicca.

Il festival del raccolto nel Regno Unito si celebra la domenica della Luna piena più vicina all'equinozio di settembre.

La festa di metà autunno si celebra il 15º giorno dell'8º mese lunare ed è una festa ufficiale in molti Paesi dell'est asiatico. Dato che il calendario lunare non è in sincrono con il calendario gregoriano questa data può cadere un giorno qualsiasi tra la metà di settembre e l'inizio di ottobre.

sabato, dicembre 29, 2018

L'isola dei delfini blu [Scott O'Dell]

L' isola dei delfini blu
Scott O'Dell
Karana vive serena con la sua gente sull'isola dei Delfini Blu, ma tutto viene sconvolto quando gli uomini bianchi arrivano per cacciare le lontre, portando morte e distruzione. Il padre di Karana viene ucciso e gli abitanti dell'isola decidono di fuggire in cerca di fortuna. Karana però rimane sull'isola perché non riesce a trovare Rama, il fratellino, e confida che passata la paura la sua gente tornerà a cercarla. Ma la vita decide diversamente, perché Rama viene ucciso da un branco di cani e la nave della sua gente è naufragata poco dopo la partenza. Karana ora è proprio sola e dovrà imparare a convivere con se stessa, oltre che con l'ambiente circostante. 

Karana, la protagonista di questo racconto per ragazzi affronta la solitudine e la sopravvivenza contando solo sulle proprie forze, con l'aiuto della natura, madre e matrigna. Quando rimane sola sull'isola dei Delfini Blu, e sopravvive alle avversità dell'isola e agli sbarchi degli uomini bianchi, Karana capisce che il suo posto è lì, su quell'isola, e più volte decide di non abbandonare la sua terra, dove avverte ancora le voci e le presenze del suo popolo, e di rendere per lei vantaggioso ciò che la natura le offre. Il rapporto con uno dei cani randagi che popolano l'isola, Rontu, diventa quasi familiare, dimostrando come una convivenza pacifica è possibile anche tra gli umani e gli animali più temibili. Una storia che fa riflettere su ciò di cui siamo capaci quando ci rendiamo conto di chi siamo e ciò che possiamo fare, del rapporto sempre esplorato e narrato da grandi scrittori tra uomo e natura, e sul potere delle nostre scelte.

martedì, giugno 19, 2018

Big In Japan: Ito Ogawa e gli amori tra le tradizioni giapponesi [III]

L'amore può avere mille sfumature, come il tramonto in Giappone. 
Di queste sfumature ce ne parla Ito Ogawa, nota scrittrice giapponese, nei suoi romanzi, che raccontano forme diverse d'amore, seppur vere, realistiche, a tratti crude, come forse noi occidentali non sappiamo fare, lasciandoci andare troppo spesso in un romanticismo a volte irreale.
L'amore è come la cucina, ha mille sapori, e questo traspare dai romanzi della Ogawa, sempre attenta a 'dosare' gli ingredienti di ogni narrazione, come le sue protagoniste fanno in cucina (soprattutto come Ringo in 'Il ristorante dell'amore ritrovato').
Gli amori narrati sono spesso perduti o ritrovati, sono lontani o troppo vicini, sono amori quotidiani o diluiti negli anni, sono forme d'amore diverse tra loro ma unite da un senso di misuratezza, e a tratti di malinconia, che hanno i veri amori, quelli della gente che lotta per questi amori ma che sa bene che alla fine della giornata deve fare i conti con la vita, i suoi problemi, i suoi impedimenti, i suoi tempi.
Nell'amore nulla è facile, e così Ringo decide di dedicarsi a quello degli altri, dei suoi clienti, in silenzio, ma con uno sguardo attento a ciò che le accade, senza lasciarsi andare a pianti o rimpianti.
Chiyoko e Izumi invece, protagoniste di 'La locanda degli amori diversi', affrontano il loro amore, o quello che a volte non viene neanche motivato, ma lo fanno decidendo la vita su misura per loro per poterlo vivere, il che comporta scelte difficili, rinunce e abbandoni.
Famiglie, di diversi tipi, di diverse concezioni, Ringo e sua madre, Chiyoko e Izumi con i loro figli, mondi diversi, modi differenti di vedere l'amore, i sentimenti, e di vivere l'affetto, uniti dalla sicurezza che potremmo restare un giorno soli, ma non per questo vivendo con quest'ansia.
L'amore si mescola alle tradizioni giapponesi, alle usanze e credenze di una terra a noi lontana, in cui modernità e antichità si mescolano per darci una visione nuova, vera dell'amore.
Traspare da queste pagine l'attaccamento di questa popolazione alla terra, al lavoro fatto con le mani, e all'importanza dell'accoglienza, come se chiunque incontrassimo lungo il cammino diventasse parte della nostra storia.
Due romanzi e una autrice consigliati a chi nell'amore crederà sempre, anche quando arriverà troppo presto, o troppo tardi... o non arriverà mai.


Il ristorante dell'amore ritrovato

ISBN 978-88-545-0419-6
Pagine 192
Euro 15,00
Ringo, una ragazza che lavora come cameriera in un ristorante turco di Tokyo, rientra una sera a casa con l'intenzione di aprontare una cena succulenta per il suo fidanzato straniero col quale convive da un po'. Con suo sommo sgomento scopre però che la casa è completamente vuota: i mobili spariti, i suoi oggetti scomparsi, il fidanzato svanito nel nulla. Disperata, Ringo perviene a una decisione drastica: tornare al villaggio natio, da cui manca da oltre dieci anni...


La locanda degli amori diversi

ISBN 978-88545-1169-9
Pagine 320
Euro 17,00
Izumi è appena uscita da un doloroso divorzio, quando alla stazione assiste a un tentativo di suicidio in compagnia di Sosuke, il figlio di sei anni. La ragazza che ha provato invano a uccidersi si chiama Chiyoko, ha vent’anni ed è una creatura sola che ha commesso uno sbaglio. Tra le due ragazze è amore a prima vista e decidono di rifugiarsi in un paesino di campagna per poter vivere in tranquillità e lontano dall’occhio critico di una società all’antica. Tuttavia incontrano delle difficoltà anche con la piccola comunità locale. 

domenica, giugno 10, 2018

Castelli di Puglia: Gravina, dove il tempo si è fermato.



Bisogna entrarci, nel palazzo Pomarici-Santomasi di Gravina, per avere il senso dei suoi quasi quattro secoli, dove il tempo si è fermato. Tutto, per fortuna, è stato lasciato così com'era, e mancano solo le voci dei padroni di casa, il brusio dei corridoi, i rumori della vita quotidiana, per il ritorno al passato di questo gioiello di arte, di cultura, di vita vissuta.
Si può quasi avvertire lo strusciare degli abiti barocchi, l'odore di cipria, l'odore dei legni dei caminetti, tra i bagliori dei candelieri, e questa magia, dovuta alla conservazione del palazzo nella sua originaria bellezza, ci fa capire quanto sia importante conservare le nostre dimore e castelli senza trasformarli in uffici comunali o musei come avviene oggi.
Percorrendo i corridoi, tra affreschi e arazzi, vediamo saloncini, camere da letto, lo studio, e il ricco altare della cappella palatina, e poi ancora tappeti, lampadari di Murano, pavimenti a mosaico. Il ricco arredamento ci colpisce con specchi del 1600, mobilio in oro zecchino, un letto a baldacchino del 1500, un divano stile impero, una culla del 1700, comò del 1600 con tiretti intarsiati d'avorio, un presepe napoletano del 1700.
Possiamo poi immergerci in una immensa biblioteca di trentaseimila volumi, colma di preziosi incunaboli, con cinquecentine, e testi come l'Encyclopédie di Diderot e D' Alambert, il Corano in arabo, e cento libri in lingua cinese. Aperta nel 1932, la Biblioteca ha un patrimonio iniziale di 7746 volumi, frutto di donazioni di famiglie nobili gravinesi.
Percorrendo una rampa di scale si viaggia ancor di più nel passato, grazie alla sezione archeologica, che raccoglie pezzi provenienti dalle campagne di scavo sulle colline di Botromagno, e alla pinacoteca, con oltre venti quadri del 1500, tra le circa duecentosessantatre tele . Segue una sala con gravinesi illustri, una con gli arnesi del folklore contadino, l'armeria, la sezione numismatica, le stupende ceramiche locali. La collezione numismatica è composta da ben 1608 monete.
Se pensate di aver visto tutto il bello che può celare  palazzo Pomarici-Santomasi, ecco la sorpresa del pian terreno, San Vito Vecchio, la ricostruzione perfetta di una cripta salvata dai rifiuti e dalla superstizione dei contadini, una chiesa sotterranea che era scavata nella roccia. I visitatori vengono accolti dagli affreschi di Cristo e dei santi della civiltà rupestre, rimontati su pareti e restituiti alla dignità che meritano.
Oggi il palazzo porta il nome di Fondazione Ettore Pomarici Santomasi, è visitabile al pubblico, e fu eretto in Ente Morale nel 1920.

venerdì, marzo 30, 2018

Presentazione 'I fiori non hanno paura del temporale' di Bianca Cataldi.


Bianca Rita Cataldi ha presentato ieri alla Feltrinelli di Bari il suo nuovo romanzo 'I fiori non hanno paura del temporale', edito da HarperCollins Italia. Introdotta e presentata dal professor Trifone Gargano, la giovane autrice pugliese ha ripercorso i temi principali del romanzo, spiegando curiosità e aneddoti a un pubblico molto interessato, incuriosito dall'affascinante racconto degli avvenimenti che hanno riempito la vita di Serena e Corinna, tra equilibri familiari e fantasmi del passato, alla ricerca di qualcosa di perso e dimenticato, o forse mai conosciuto, tra le vie di Bologna.
Un romanzo 'al femminile', passatemi il termine, che vede protagoniste le donne di questa famiglia, come le due sorellastre, la nonna, figura centrale, come spiega l'autrice, in tutte le famiglie, la persona che ci guida nella vita, che ha una idea diversa della vita rispetto alla nostra e quella dei nostri genitori, una nonna che nel romanzo insegna alla nipote a seguire sempre il suo istinto; non trascura le poche figure maschili presenti nella narrazione, come quel padre che 'salva' la mamma delle due ragazze, da un qualcosa che l'aveva mandata 'in frantumi' anni addietro, un personaggio che nel romanzo però deve attendere il suo momento, il momento di arrivare a aggiustare ciò che si è rotto.
Questo un punto nodale della storia, perché come racconta Bianca, per essere salvati deve essere successo qualcosa di importante prima, deve esserci stato un punto di rottura.
Il professor Gargano incalza esaltando la capacità dell'autrice di narrare avvenimenti seppur semplici, per i quali un narratore tradizione avrebbe bisogno solo una pagina del proprio romanzo, in pagine e pagine di pieno interesse e mai noiose, un vero incanto per il lettore, che non perde mai attrazione per ciò che viene narrato. 
Un aspetto fondamentale hanno i nomi quelli veri e quelli 'sussurrati', come avviene in una usanza zingara, ci spiega l'autrice, secondo la quale la mamma sussurra un nome al bambino nel suo primo giorno che non svelerà mai, ma che il bimbo saprà sempre nel suo subconscio. Così il 'vero' nome di Serena è 'Felicita', perché è molto più aperta nei confronti della vita rispetto a sua sorella, Corinna, il cui vero nome è 'Anastasia', letteralmente 'colei che risorge', in linea quindi con i personaggi descritti, così come il papà diventa 'Salvatore', perché colmerà i vuoti e lenirà le ferite della mamma delle due protagoniste.
Un viaggio quindi, quello dell'autrice, tra l'animo più profondo dei protagonisti, tra usi e tradizioni, tra leggende e consuetudini (come non citare il tè al mirtillo delle zie defunte), un senso di famiglia allargato ma pur sempre intenso, che mai permette all'io dei personaggi di snaturarsi, anzi fa sì che si concretizzi nella narrazione.
Ciò avviene senza che l'autrice dia troppe informazioni, o informazioni nel momento sbagliato, ci permette di conoscere ciò è giusto, è necessario, è utile per dar vita ai suoi personaggi.
Diversi i temi che si ripetono, con un senso di circolarità, nel romanzo, dai nomi alle scarpe (che conservano il ricordo di tutti i passi che hanno fatto), al legame tra la vita dell'uomo e quello della natura, come suggerisce il titolo. Dopo il temporale c'è di nuovo il sole, ciclicamente, e così nella vita di un uomo dopo un avvenimento drammatico torna il sereno, c'è la necessità del dolore, e ci sono persone che con la loro forza, o con quella donatagli da chi incontrano lungo il cammino resistono al temporale, come i fiori.

I FIORI NON HANNO PAURA DEL TEMPORALE.
Bologna 1997. La stanza è in penombra e i libri e le musicassette sono sparsi dappertutto. Distesa sul letto, la camicia a quadri e i Nirvana sparati nelle orecchie dal walkman, Corinna muove i piedi a tempo e non stacca il naso dalla pagina. Ha sedici anni, i capelli rossi come fili di rame e un viso ricoperto di lentiggini su cui spiccano due occhi d'acciaio. È la figlia del primo grande amore di sua madre che se ne è andato poco prima del parto. Serena, detta Poochie, ha sette anni, i capelli scuri stretti in due codini fermati da elastici a forma di arcobaleno ed è la sua sorellastra. Il suo desiderio più grande è farsi considerare da quella sorella maggiore così misteriosa, sempre rintanata dietro le pagine di un libro e con le cuffie calcate sulla testa. Vivono in una grande e caotica tribù allargata in cui vige il matriarcato e dove per ogni decisione ci si rivolge al consesso delle antenate riunite nella cappella di famiglia al cimitero. Una famiglia fatta di donne dal sangue cocciuto e in cui nessuna tristezza può resistere di fronte al sapore magico di un tiramisù al pistacchio. Eppure l'equilibrio familiare comincia a vacillare quando Corinna riceve una strana scatola da scarpe chiusa malamente con del nastro adesivo. Dentro ci sono degli oggetti apparentemente scollegati tra loro, ma che sono l'ultimo regalo del suo vero padre, scomparso improvvisamente in un incidente. Corinna non ha dubbi: quegli oggetti hanno un significato e lei deve scoprirlo. Decide così di partire, insieme a Serena, per una caccia al tesoro per le vie di Bologna. La scatola in borsa e un sogno tra i capelli ribelli: trovare il segreto delle sue radici e, inevitabilmente, la propria strada nel mondo.

lunedì, marzo 12, 2018

Vita da bambola: Barbie, la vera icona femminista.


Quando si parla di Barbie di solito si pensa a un mondo rosa per bambine, un mondo lontano dagli adulti, e soprattutto dalla realtà. Nulla potrebbe esserci di più sbagliato di queste definizioni, soprattutto oggi che il fenomeno Barbie (nonostante i sali e scendi delle vendite), è ormai sempre più fuori dai confini fanciulleschi e sempre più di tendenza.
Quando è arrivata sul mercato, 59 anni fa, Barbie era 'semplicemente' una modella adolescente, con un guardaroba sorprendente, e novità assoluta per il pubblico delle giovanissime acquirenti; ma Barbie già allora era avanti a tutti, essendo la prima vera fashion doll della storia (la prima Barbie si ispirava alla Bild Lilli, bambola dell’omonimo personaggio fumettistico tedesco, non esattamente adatto ai bambini).
Barbie dimostra fin da subito di essere una donna indipendente (suvvia, Ken è più un accessorio che altro) e fin dai primi anni '60 si affaccia a carriere che all'epoca erano prettamente maschili (e arriva persino sulla Luna anni prima dell'uomo), dimostrando, come poi dirà molti anni dopo lo spot delle I Can Be (la linea dedicata agli oltre 140 mestieri che Barbie ha fatto in questi quasi 60 anni), che 'tu puoi essere tutto ciò che vuoi'.


Il falso mito che Barbie imponesse alle bambine di essere principesse o spose è portato avanti da chi, purtroppo ancora oggi, non si è mai affacciato veramente al mondo di Barbie (basterebbe fare un giro nei negozi di giocattoli per vedere quanti mestieri faccia Barbie, dalla cuoca all'architetto, dalla paleontologa all'apicultrice, dalla donna d'affari all'ingeniere robotico), etichettando il personaggio più amato del mondo come un fenomeno stereotipato che impone una certa figura femminile.
Già tutto questo cade facilmente come vi ho appena detto, dimostrando che Barbie già in tempi non sospetti (negli anni '70 era già stata astronauta, maestra, cantante, chirurga, hostess, infermiera...) mostrasse alle bambine un modello di donna che insegue le sue passioni, i suoi talenti, le sue aspirazioni.


Il secondo falso mito è quello che riguarda il corpo di Barbie, spesso molto discusso, insieme ai suoi tratti somatici. Barbie ha cambiato forme e corpo spesso nei decenni, sicuramente (ahimè?) seguendo i canoni di bellezza del momento. Questo è stato davvero un male? Non credo, perché se da una parte (come abbiamo visto con i mestieri) Barbie deve far imparare, come ogni gioco del mondo, deve ovviamente anche far sognare. Però Barbie non è certo restata con le mani in mano, imponendo una bellezza caucasica come unico punto di riferimento.
Alla fine degli anni '60 infatti Christie, la prima amica afro americana di Barbie, entra in scena, seguita negli anni '80 dalla bellezza asiatica di Miko/Kira/Marina, e dalla simpatia latina di Teresa, per poi arrivare nel 2015 a ampliare la scelta di etnie, colori e tratti somatici con le nuove Fashionistas.
La vera rivoluzione era già dietro l'angolo, e così nel 2016 Barbie diventa Tall (più alta), Petite (più bassa) e Curvy (più rotonda) per essere più somigliante a ogni tipo di donna, in modo che ogni bambina possa rivedere se stessa, le sue amiche, la sua mamma, e chiunque riconosca nelle sue bambole del cuore.
Il secondo falso mito dell'icona di perfezione e omologazione cade così miseramente.

Il terzo falso mito è quello che Barbie sia solo un prodotto per bambine. Quando negli anni '90 arrivano le prime bambole da collezione questo paletto cade, essendo questi prodotti destinati a un pubblico adulto e distinguendolo dalle playline, le bambole da gioco, quelle più accessibili ai bambini. Oggi con l'avvento dei social Barbie è una icona di stile, e uno degli 'oggetti' più fotografati al mondo, basta scorrere instagram per trovare migliaia di account dedicati a lei, fotografata in ogni luogo e ogni occasione.
Nel 2018 è ancora giusto pensare che solo le bambine femmine comprino le Barbie? No, assolutamente no, e questo la Mattel lo ha capito da tempo, e infatti nel 2015 nello spot Moschino Barbie compare per la prima volta un maschietto che gioca e ama la sua fashion doll. Barbie è per tutti, per tutti coloro che vogliono giocare e sognare, senza alcuna distinzione.
Terzo falso mito abbattuto.


L'ultimo falso mito, il quarto, che racchiude un po' tutto ciò che abbiamo detto è che Barbie, per il suo aspetto fisico, per la sua 'frivolezza', per il suo mondo rosa, è un cattivo esempio per le bambine, una fatua illusione, qualcosa di massa che annega l'individualismo.
Tutto ciò è una grandissima bugia, perché abbiamo visto che con i suoi mestieri Barbie insegna alle bambine, e ora possiamo dirlo, ai bambini, che da grande puoi essere tutto ciò che vuoi, con le sue differenze di peso, altezza, tratti somatici, colori, Barbie ci dimostra che si può essere belli in qualunque modo, con la passione degli adulti nel giocare e collezionare le Barbie si dimostra che quello di Barbie non è un mondo finto per bambini che vogliono semplicemente un giocattolo nuovo.
Poi non dobbiamo dimenticarci di tutte le aste benefiche, le iniziative di carità, l'impegno di creatori e collezionisti per temi che vanno dalla cura delle malattie infantili, alle raccolte fondi per scuole e borse di studio per i ragazzi più bisognosi. Barbie, i suoi creatori e i suoi fan sono sponsor di innumerevoli iniziative di questo genere, e spesso nessuno ne parla.
Marchi famosi in tutto il mondo e stilisti internazionali hanno creato abiti per Barbie e ne hanno associato il marchio, dimostrando l'importanza di qualcosa che non è semplicemente una bambola.
E infine arriviamo al tema scottante degli ultimi tempi, ovvero le Barbie ispirate a donne forti che hanno cambiato la storia, l'arte, la scienza, lo sport, la comunicazione. Qualcuno ha storto il naso vendendo una Barbie dedicata ad esempio a Frida Kahlo, ritenendo indegno vedere una grande artista ridotta a un prodotto stereotipato. Invece la Mattel da anni dedica delle bambole alle Sheroes, le Role Model del nostro tempo, quelle donne che hanno fatto o stanno facendo la storia nel loro campo, facendo così conoscere questi personaggi, di cui diciamocelo, si parla sempre troppo poco, a una generazione più piccola che così giocando imparerà molto di più. Infatti le donne a cui sono state dedicate queste bambole (per fare un nome italianissimo, Sara Gama, difensore e capitano della Juventus femminile e della nazionale italiana) si sono dette fiere e onorate di questo omaggio.


Allora, non sarebbe quindi l'ora di riconoscere a Barbie il suo valore di vera icona femminista, indipendente, che ha ispirato milioni e milioni di bambine nel mondo a inseguire sempre i propri sogni?
E poi, se è solo una bambola, tutto ciò che le si richiede, ai nostri figli non dovrebbe essere insegnato da noi invece che da un gioco?
Chissà, certo è che Barbie di strada ne ha fatta davvero tanta, e la donna è sempre stata omaggiata e esaltata da lei, mai resa ridicola o limitata in alcun modo.
Viva Barbie, l'ultima vera icona femminista.

mercoledì, febbraio 28, 2018

Castelli di Puglia: Lucera e la “Chiave di Puglia”


La fortezza svevo-angioina di Lucera, nella provincia di Foggia, è una costruzione risalente al XIII secolo, di età federiciana e angioina.
La “Lucera saracenorum” oggi ormai non esiste più, non vi è più traccia di minareti e moschee, ma pare che nel 1239 non ci fossero più di dodici abitanti di fede cristiana, e il vescovo stesso fosse costretto a parlare arabo per farsi capire.
Federico II deportò i saraceni dalla Sicilia a Lucera e per questo, negli anni '20 del 1200, fece edificare il suo Palatium. Lucera ben presto si trasformò così in una città musulmana. La fortezza venne invece edificata da Carlo I D'Angiò e completata nel 1238.
In tempi di trasferimenti di massa di popolazioni, non doveva sorprendere che Federico li deportasse tutti in Puglia, anzi, mossa intelligente quella di spostare quel popolo riottoso dalla Sicilia, troppo vicino anche alle popolazioni africane.
Inoltre per la Capitanata, e per “Lugerah”, fu fonte di sviluppo e progresso. Quella terra, poco abitata e poco coltivata, vide l'incremento di di agricoltura, artigianato e commercio.


Il popolo locale, dopo aver capito di non poter nulla contro questa invasione “programmata”, trasformò l'odio in devozione per Federico II, il quale, per ricambiare, li trasformò nel suo esercito e nella sua guardia del corpo.
In questo “melting pot” pugliese giunsero maestri, studiosi, armatori, una corte viva e attiva. Grandi architetti, quali Pietro d'Angicourt, Giovanni da Toul e Riccardo da Foggia, giunsero per edificare la fortezza, che si affacciava su paesaggi maestosi, e restava inaccessibile su ben tre lati su quattro.
Da qui deriva la denominazione di “Chiave di Puglia”, perché chi l'avesse posseduta, avrebbe preso la regione intera.
Un luogo lussuoso, da una parte l'harem con le odalische, le danzatrici e i ragazzi di vita; dall'altra letterati arabi, spagnoli e inglesi, maestri d'armi, indovini e astrologi; stanze arredate con sfarzo e raffinatezza, che si affacciavano in un cortile adorno di fontane, con il pozzo al centro.
Trentadue vani arredati con seta d'oriente, vetri e ceramiche.
Quel che sappiamo di questa lussuria lo dobbiamo ad un dipinto di Jean-Louis Desperez.
Si continua con i laboratori per lavorare i metalli e le armi, statue e sculture classiche, decorazioni romano gotiche, con una fusione di stili e epoche differenti.


In realtà oggi del Palatium federiciano possiamo ammirare solo qualche frammento interrato.
Sorge poi la cinta muraria irregolare, che con i suoi oltre 900 metri di lunghezza avvolge tutta la collina, con tredici torri quadrate, due bastioni, sette contrafforti e due torri cilindriche angolari.
Questo gigantesco anello di mura che circonda il castello fu fatto costruire da Carlo d'Angiò dopo la vittoria degli svevi. Sorse così un nuovo castello, dormitori, magazzini, scuderie e la chiesa di San Francesco.
Lucera divenne una cittadella militare autonoma, il più importante avamposto fortificato della Puglia settentrionale.
Il corso della storia modificò purtroppo il rapporto tra i popoli e le religioni, passando dalla tolleranza a una lunga scia di sangue e conflitti.

mercoledì, febbraio 21, 2018

SEI UN MITO: perché certi fenomeni non torneranno più.


Siamo negli anni '90, il mondo è invaso dal pop, dalle radio alle tv, e personaggi come Madonna, le Spice Girls e le boyband hanno il dominio sul mondo. Sì, sul mondo, non solo sulla musica, perché gli anni '80 ci avevano già insegnato con la stessa Madonna, Michael Jackson e tanti fenomini più o meno duraturi che i veri divi idolatrati non erano più le star di Hollywood, ma i cantanti.
La musica era diventata finalmente il mezzo per permettere ai più giovani di esprimere il loro pensiero, per parlare di argomenti che loro stanno a cuore, per ribellarsi, e per far si che temi come amore, sesso, droga, solitudine e depressione non fossero più un tabù.
Nascevano così i veri e propri miti, quelli idolatrati dai teenager, ma capaci alla fine di estendere il loro potere a ogni generazione, come negli anni '60 era avvenuto già con i Beatles e Elvis.


Sì, perché sono la band inglese e il ciuffo più emulato di sempre i precursori di questo fenomeno, in tempi non sospetti, quando i ragazzi cominciavano ad avere una identità propria, cosa che avrebbe portato di li a poco al '68 e le rivolte giovanili.
Nascono così la Beatles-Mania e l'adorazione per Elvis, inizialmente solo tra un pubblico femminile e molto giovane, per poi rendere questi due mostri sacri della musica icone indiscusse di una intera generazione (e non solo!).
Ma i Beatles si sciolgono, Elvis e John Lennon ci lasciano, e nonostante il culto per loro resta intatto (se non accresciuto) ancora oggi, i nuovi giovani anno bisogno di nuovi idoli.


Michael Jackson, prima baby star nei Jackson 5, poi re del pop da solo, diventa forse il primo vero idolo mondiale afro americano (motivo per cui i suoi cambiamenti fisici successivi hanno creato tanto scalpore), portando così un più ampio respiro nel pubblico, specie di colore, mostrando loro che tutti possono arrivare così in alto (come poi farà Beyoncé, dando potere alle donne di colore nella musica come poche avevano fatto prima di lei).
Manca ancora però qualcosa, e la società, i giovani, ne hanno bisogno: una donna in vetta.
Non siamo qui per sottovalutare l'importanza di personaggi come Etta James, o Donna Summer, o l'unica donna ad avere una hit #1 in ogni decennio dagli anni '60 ad oggi, ovvero Cher, ma una donna che comandasse tutto il mondo, non solo quello della musica, e che rivoluzionasse il modo di comunicare doveva ancora arrivare.


E così gli anni '80 plasmano la figura più complessa, amata, odiata, discussa, articolata, geniale, provocatoria, furba che la storia della musica abbia mai avuto: Madonna.
La si può amare o odiare, la potete trovare geniale o insopportabile, ma Madonna è l'unica icona della musica che ha stravolto TUTTO, perché chi è seguito ha solo trovato la strada già spianata (da Katy Perry a Lady Gaga, passando per tutte le altre, il gioco era giustamente iniziato già 30anni prima).
Madonna è riuscita a conciliare la figura quasi angelica (provocatoriamente parlando) di Marilyn, una delle sue fonti maggiori di ispirazione, omaggiata durante tutta la carriera, con qualcosa che ancora mancava: la donna che abbatte le leggi maschiliste del mondo della musica e della comunicazione.
Potremmo parlarne per ore, ma è giusto arrivare ora agli anni '90, il culmine e la parentesi finale della creazione di questi miti (tutti idolatrati ancora oggi ancora più di prima).
In un mondo di boyband, dove le teenager andavano in disibilio e in crisi ormonali, piangendo alla comparsa di personaggi come Nick Carter (BackstreetBoys) o Gary Barlow e Robbie Williams (Take That), le figuri femminili, 'annientate' dalla luce incontrastata di Madonna, hanno bisogno di una nuova linfa.
C'è bisogno di un personaggio differente dalla Ciccone, per un pubblico sempre più presente nell'acquisto della musica, quello latino, una comunità crescente negli Stati Uniti, e quindi bisognosa di una sua star.


Così una ragazza texana, di origine messicana, porta il pop latino e la cumbia in vetta alle classifiche, conquistando un pubblico trasversale, di età e di etnia. Selena Quintanilla Perez, o semplicemente Selena, diventa una stella mondiale, con premi, riconoscimenti, pubblico, e diventa una delle prime star a avere una linea di abbigliamento, una bambola, un profumo, anticipando ogni cantante degli anni 2000. La parentesi di Selena culmina al massimo del successo, quando la sua assistente le toglie la vita nel 1995, distruggendo una carriera piena di successi, ma rendendo Selena una icona immortale, letteralmente venerata in ogni parte del mondo, con manifestazioni, musei, mostre, statue a lei dedicate. Ad oggi Selena, morta a soli 23 anni, ha venduto oltre 60 milioni di dischi.

Non stavamo parlando di boyband poco fa? Giusto giusto, un fenomeno che ogni decennio torna a 'colpire', New Kids on The Block, Take That, Blue, One Direction... fenomeni mondiali, ma che restano spesso legati a una fase generazionale (anche se le prime tre veterane band sono ancora attive oggi), e questa supremazia maschile ha avuto uno scossone (un crollo?), con un fenomeno che è paragonato solo a quello dei Beatles, ovvero la Spice-Mania, termine che oggi trovate anche sulla enciclopedia, insieme al Girl Power.


Non hanno certo bisogno di presentazioni, ma le Spice Girls hanno venduto più di ogni altra girl band, (seppure in meno anni di effettiva attività, 1996-2000), detengono il record di velocità di sold out per dei concerti (quelli del Reunion Tour del 2007), il maggior numero di tweet durante una cerimonia sportiva (la loro esibizione del 2012 alle Olimpiadi), e ancora nel 2018 la news della loro reunion, con una semplice foto su instagram, il tema più discusso di questo nuovo anno.
Insomma in 22 anni il fenomeno pop non ha smesso di riscuotere successi, sopra ogni aspettativa. Le Spice Girls sono state forse la 'mania' più grande, il che spiega forse l'immutato successo ad ogni loro comparsa nonostante tanti anni di silenzio. Ogni marca del mondo negli anni '90 è stata pubblicizzata da loro, le loro apparizioni televisive erano quotidiane in ogni parte del mondo, tutti conoscevano e conoscono le loro canzoni, ad ogni età, ogni ceto sociale, ogni regione del pianeta. Lo 'Spiceworld' è un fenomeno globale di dimensioni pazzesche, inarrestabile ancora oggi. Tutti amavano e amano le Spice Girls, un fenomeno non ripetibile per nessuna band successiva, neanche quei tanto amati One Direction, il cui immenso pubblico resta comunque formato da adolescenti, che stanno crescendo molto in fretta, e che per la globalizzazione dei gusti musicali, attraverso i social e la musica digitale, cambieranno 'direzione' in fretta.
Le Spice Girls hanno insegnato sì alle ragazze a essere forti, consapevoli del loro corpo, a indossare ciò che le fa sentire bene e non necessariamente sta bene, ma soprattutto a essere se stessi e amarsi, motivo per cui sono icone gay indiscusse, le Spice Girls sono come noi, sono ragazze comuni che non indossano look abbinati, non sono comandate da nessuno, sono al potere di loro stesse.
Gli anni Novanta finiscono, le folle immense, le ore davanti la tv a aspettare un video o una apparizione, le patatine o le lattine con i nostri idoli sopra stanno per essere spazzati via dal web, e una serie di infinite meteore (gli anni 2000 sono un calderone di ritorni o brevi arrivi), ma un ultimo mito nasce tra il 1998 e il 1999, il mito di colei che sarà una stella fortunatissima e poi sfortunata, ma che riuscirà a riprendersi tutto rinascendo, unico esempio moderno di come il successo ti distrugge ma che l'amore del pubblico ti rialza e ti riporta al posto che ti spetta di diritto.


La gabbia d'oro in cui nasce il sogno americano di Britney Spears, l'artista più seguita e cliccata al mondo negli ultimi due decenni, diventa una prigione quando al culmine del suo successo, un successo gigantesco per una semplice ragazzina della Luisiana, tutti vogliono un pezzetto di lei, del suo successo, della sua vita. Britney incarna il sogno di gloria di tutti gli americani, è amata da tutti, e questo è un peso immenso, e quando cade il mondo piange insieme a lei, e il pubblico le porge una mano, così quando si rialza diventa l'esempio migliore per tutti i ragazzi e le ragazze al mondo di come ognuno di noi possa affrontare tutto e riprendere in mano la propria vita (il meme 'se Britney ha superato il 2007 io posso superare questa giornata' è popolarissimo e stampato persino su magliette e tazze). Britney è la star umana, l'ultimo mito del pop, quello che, lontano dall'eterea figura di Elvis diventa una di noi, diventando per i suoi successori un fenomeno senza mai più pari.

I successi galattici nel mondo della musica non sono mancati dopo, da Justin Bieber a Lady Gaga, da Beyoncé agli One Direction, da Jennifer Lopez a Ariana Grande, così si potrebbero citare prima di loro Cher, i Rolling Stones, i Take That, Kylie, Mariah e tanti altri, ma coloro di cui vi ho scritto oggi hanno avuto la capacità di portare il loro potere fuori dalla musica, di unire anche chi non seguiva il loro genere musicale, di spezzare barriere e tabù, di far credere in se stessi anche chi si sentiva in minoranza. Per questo nel mondo dei social, di iTunes, dello streaming, del tutto accessibile a tutti, non può nascere un nuovo mito, e certi fenomeni non torneranno più.

venerdì, febbraio 09, 2018

Castelli di Puglia: Gioia del Colle, tra regine senza corona e set cinematografici.


Il castello di Gioia del Colle non è come gli altri castelli di Federico II. Lucera, Manfredonia, Trani, Bari, Brindisi, Castel del Monte svettano fuori dalle città. In quelle marinare difendono i porti; in quelle interne dominano la vista dai punti più elevati. Solo a Gioia, come scrisse lo studioso germanico Kohlrausch, “una solida, ben costruita fortezza si innalza immediatamente e diremo quasi improvvisa, impreveduta fra le case della città”.
Anche qui si ritrova la consueta pianta, col cortile squadrato dalle quattro torri agli angoli. Il cortile di un antico convento, perché in origine questo castello fu un chiostro e lo fu per ben cento anni. Poi un giorno Federico, al ritorno della sua strana crociata imbelle in Terrasanta, sbarcò nei pressi di Ostuni e con la sua solita nutrita corte si rifugiò nei pressi di Gioa del Colle.
Bisognava rendere gradevole la sosta all'harem di donne saracene, ai maghi, ai poeti, agli astronomi, agli architetti e via dicendo che lo seguivano in tutti i suoi spostamenti.
Così il rude castello normanno sorto per primo sul convento fu riformato e abbellito, coerente con una concezione della vita che non ne disdegnava affatto gli aspetti più piacevoli.
Questo però non è stato l'unico momento della costruzione degno di nota. Il castello è detto il più tedesco tra quelli di Federico per certi dettagli artistici, come le finestre incorniciate di marmo, che fanno pensare alla chiesa di Notre Dame de Sion a Colonia. Poi la felice fusione fra culture e stili lontani e che tuttavia si armonizzano: ad esempio l'arte araba e quella occidentale gotica, come le due facce della personalità di Federico.
Sale e appartamenti confluiscono e si affacciano sull'ampia corte, prendendo aria e luce da monofore, bifore e trifore. Tra gotico e islamico si erge la leggiadra sala del trono, cuore del castello. Sotto la sala del forno c'era l'antica prigione, un triste e buio sotterraneo nel quale chi vi veniva rinchiuso non resisteva a lungo. Su una parete sono scolpite due rotondità, che secondo la leggenda riproducono i seni di Bianca Lancia, amante di Federico II di Svevia, spesso chiamata la regina senza corona. Stando alla medesima leggenda, l'imperatrice partorì Manfredi, avuto dalla relazione con Federico II di Svevia, nelle prigioni del castello. Questi ambienti sono situati alla base della Torre dell’Imperatrice. Federico II e Bianca Lancia d'Agliano si conobbero nel 1225 pochi mesi dopo l’infelice matrimonio tra l’imperatore e Jolanda di Brienne, e condussero una relazione dalla quale nacque Manfredi di Sicilia, che erediterà il trono di Sicilia. Dopo aver partorito, a causa dell’offesa arrecatale da Federico, Bianca Lancia si uccise con un pugnale dopo essersi recisi i seni (da qui le due rotondità sulla parete del sotterraneo), che mandò all’imperatore su un vassoio assieme al neonato Manfredi. Si tramanda che il suo corpo fu tumulato nella prigione, ma nessuna tomba è stata mai trovata.
 L'esterno riprende più la tetra prigione che gli accoglienti interni, grige si stagliano le pesanti muragle. Esistono 1000 ingressi, anche se i più importanti sono solo tre: il principale è costituito da un ampio portale situato sul lato Ovest, un secondo è poco più di una porta sul lato Sud. Entrambi sono sormontati da una corona di bugnati a raggiera. Caditoie a due canne incombono al di sopra degli ingressi. Un terzo ingresso è stato recentemente portato alla luce attraverso la cortina Nord.
Nel 1964 Pier Paolo Pasolini scelse il castello per girare due sequenze per il film "Il Vangelo secondo Matteo", la reggia di Erode e la danza di Salomè, che si svolse nell'ala nord della corte dell'edificio, mentre nel 2014 il regista Matteo Garrone nel 2014 ha girato nel castello alcune scene del film "Il racconto dei racconti" , tratto dalla raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
Il castello di Gioia ospita al piano terra il Museo archeologico nazionale che raccoglie soprattutto i reperti di Monte Sannace.

giovedì, febbraio 08, 2018

Football e granturco: Minneapolis e le Twin Cities [V]


Minneapolis è una città degli Stati Uniti, è la città principale dello Stato del Minnesota e capoluogo della contea di Hennepin. La città è situata nella parte sud-orientale del Minnesota, lungo le sponde del Mississippi poco a nord della confluenza con il fiume Minnesota.
Con la vicina capitale dello Stato Saint Paul, forma la cosiddetta area metropolitana delle Twin Cities (città gemelle), sedicesima area metropolitana più popolosa degli Stati Uniti.
 
La città è anche nota con il nomignolo di "Città dei laghi" oppure "Mill City", in passato infatti l'attività economica principale era la molitura del grano.Il nome Minneapolis deriva infatti dall'unione dei termini mni, che significa acqua in lingua Dakota e polis, città in greco.
 
Molti turisti non penserebbero di mettere Minneapolis nella loro lista di mete da visitare. Il clima invernale cupo e uggioso della città ha condizionato l’immaginario collettivo. Ma la verità è ben diversa. In realtà Minneapolis è una destinazione con una grande varietà di attrazioni da vedere e di luoghi da visitare. Dalle bellezze naturali e i paesaggi all’arte e l’intrattenimento, c’è qualcosa per ciascuno nelle Città Gemelle. Ecco 10 cose da fare e da vedere a Minneapolis:

10. Lago Nokomis
Uno dei molti laghi di Minneapolis, il Lago Nokomis, prende il nome da Nokomis, la nonna di Hiawatha, eroe del poema “Il Canto di Hiawatha”. Il lago si trova nella zona meridionale della città e quando venne inizialmente comprato, nel 1907, era profondo soltanto un metro e mezzo nel suo punto più avvallato. Grazie ai dragaggi il lago ha assunto un aspetto diverso ai nostri tempi.
La gente del luogo usa il lago per pescare e andare in barca a vela, e nella zona circostante ci sono strutture per praticare jogging, softball, andare in bici e fare altri sport. Il lago Nokomis è perfetto per allontanarsi un pomeriggio dalla città e fare un picnic in famiglia, un po’ di attività fisica, o semplicemente per rilassarsi.

9. Museo Weisman
Situato nel campus dell’Università del Minnesota a Minneapolis, il museo Weisman è stato progettato dal famoso architetto americano-canadese Frank Gehry e venne completato nel 1993. Situato su un promontorio al di sopra del fiume Mississippi, è uno dei luoghi più caratteristici del campus.
L’edificio è diviso in due esteticamente, con una facciata in mattoni che si integra con l’aspetto degli altri edifici dal lato del campus e con una facciata curva in lucido acciaio dal lato opposto – in uno stile per cui Gehry è molto noto. Questo complicato design rappresenterebbe in astratto una cascata e un pesce. Il museo viene spesso definito un “museo d’arte moderna” e la collezione di oltre 20,000 opere comprende lavori di Marsden Hartley, Alfred Maurer, Charles Biederman oltre a mobili coreani e vasellame dei nativi americani.

8. Minneapolis Skyway System
Il Minneapolis Skyway System è un sistema interconnesso di passerelle pedonali che permette di spostarsi velocemente a piedi e di orientarsi facilmente in tutta la città. In una città famosa per le sue basse temperature, questi corridoi coperti offrono alla gente la possibilità di evitare il freddo e di rifugiarsi nel tepore delle passerelle riscaldate.
Il sistema connette 69 isolati del centro città per oltre 17 km quadrati di superficie. Va detto che le passerelle sono private, perciò gli orari di apertura e chiusura non sono gli stessi per tutte. I 13 km di passerelle connettono diversi edifici tra i quali ristoranti, hotel, banche, uffici governativi, centri commerciali, e le strutture sportive del Target Center e del Target Field.
Diversi condomini e appartamenti sono anch’essi collegati al sistema di passerelle e permettono a chi vi risiede di vivere, lavorare e fare shopping in centro senza mai dover lasciare i corridoi.

7. Target Field
 Uno dei più nuovi stadi della Major League Baseball, il Target Field, ha aperto i battenti nel 2010 ed è sede dei Minnesota Twins. Lo stadio  da quando ha aperto viene considerato uno di quelli che offrono agli spettatori la migliore esperienza del baseball grazie a un design che crea eccellenti punti di vantaggio, alle molte comodità e alle speciali caratteristiche.
Con una capacità di poco meno di 40,000 spettatori, il Target Field col suo design aperto offre fantastiche prospettive agli spettatori in tutto lo stadio. Lo stadio ha anche tre locali e ristoranti principali, ciascuno specializzato in cucina tradizionale.

6. Orpheum Theatre
L’Orpheum Theatre si trova nel centro di Minneapolis ed è uno dei quattro splendidi teatri restaurati di Hennepin Avenue. Aperto originariamente nel 1921 e noto come Hennepin Theatre, l’edificio tecnicamente è composto da due strutture separate. La prima è un lungo atrio, e la seconda è la sala vera e propria.
L’atrio restaurato contiene sei bassorilievi di terracotta, mentre la sala ha molte decorazioni tra cui 30,000 riquadri in foglia di alluminio. All’interno 1500 ospiti possono sedere in platea e 1100 nei tre ordini di palchi. Durante il periodo di tempo che va dal 1979 al 1988 Bob Dylan era proprietario del teatro, e lo vendette poi alla Città di Minneapolis. Oggi il teatro ospita molti spettacoli durante tutto l’anno, tra cui musical, concerti e prosa.

5. Minneapolis Sculpture Garden
Il Minneapolis Sculpture Garden è un parco da 44,000 metri quadrati situato vicino al Walker Art Center, che gestisce il giardino insieme alla Minneapolis Parks and Recreation Board. Il giardino è uno dei più grandi parchi di sculture degli Stati Uniti, con 40 statue permanenti e diverse opere temporanee che vengono cambiate regolarmente.
Il giardino di sculture venne inaugurato nel 1988 e si espanse nel 1992. L'opera centrale del giardino è la famosa fontana “Spoonbridge and Cherry” progettata dagli scultori Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, marito e moglie. Il sito comprende anche il Cowles Conservatory, che preserva altre piante e sculture tra cui un’opera di Frank Gehry, e un ponte pedonale che lo connette a Loring Park.

4. Foshay Tower
Ora nota come W Minneapolis – la Foshay Tower è un grattacielo hotel ispirato al Monumento a Washington. L’edificio è stato terminato nel 1929 pochi mesi prima del crollo della borsa avvenuto nell’ottobre dello stesso anno. La Foshay ha 32 piani e si erge per 136 metri, raggiungendo i 185 metri se si considera anche l’antenna che si trova sulla sua cima.
L’edificio è considerato il primo movimento verso lo sviluppo in verticale della città, poiché fu la prima struttura più alta della City Hall. Rimase l’edificio più alto di Minneapolis fino a quando venne sorpassato dall’IDS Center nel 1972. All’interno dell’hotel il lusso non manca e gli arredi sono in mogano africano, marmo italiano, maniglie placcate in oro, e ci sono anche una terrazza e un soffitto ricoperto in oro e argento. La torre era il sogno di una vita di uno studente di arte diventato uomo d’affari, Wilbur Foshay. Al 30° piano della torre troverai il Museo Foshay e la terrazza panoramica dove pagando gli 8 dollari per l’ingresso potrai scoprire la storia dell’edificio e l’impatto che ha avuto sulla città, oltre ad ammirare splendide viste.

3. Xcel Energy Center/Mariucci Arena
Un viaggio nello “Stato dell’Hockey” non sarebbe completo senza aver visto una partita dal vivo di hockey su ghiaccio, e le Città Gemelle non deludono con due diverse possibilità per gli amanti dell’hockey. La sede dei Minnesota Wild della NHL, l’Excel Energy Center, si trova a St.Paul e offre ai fan di questo sport l’opportunità di vedere una partita della NHL in una città che adora l’hockey.
Se vuoi risparmiare ma tuttavia vedere qualche emozionante azione sulle piste, Minneapolis ha comunque qualcosa che fa per te. Resta nella più grande delle due Città Gemelle e guarda una partita alla Mariucci Arena, sede della squadra dell’Università del Minnesota, i Golden Gopher. Lo stadio si trova nel campus universitario e può accogliere circa 10,000 fan per una partita di hockey su ghiaccio. La Mariucci Arena ha aperto i battenti nel 1993 e prende il nome dalla leggenda locale nonché storico allenatore dei Gopher John Mariucci. Al contrario di quel che avviene per le partite della NHL che si giocano a St.Paul, la superficie del ghiaccio alla Mariucci Arena è di dimensioni maggiori. L’arena ha ricevuto anche i complimenti di Sports Illustrated nel 2007, quando venne eletta tra le maggiori strutture nel mondo dello sport universitario (l’unico stadio da hockey ad entrare nella lista).

2. Minneapolis Institute of Arts
Un bel museo dedicato all’arte situato su quasi 32,000 metri quadri di terreno è il Minneapolis Institute of Arts (o MIA, come viene comunemente chiamato); si tratta di un grande museo pubblico finanziato dal governo e l’ingresso è quindi gratuito eccetto che nel caso di speciali mostre – un’ottima opzione per chi viaggia in economia o per le famiglie in cerca di un buon affare. Un altro vantaggio del Museo è dato dal fatto che, a differenza di ciò che avviene in molti altri musei, è permesso fare fotografie visitando la collezione permanente – ammesso che vengano usate per motivi personali o scolastici.
La collezione che si trova all’interno del Minneapolis Institute of Arts comprende 80,000 oggetti, per 5,000 anni di storia di tutto il mondo. La collezione comprende dipinti, fotografie, disegni, tessuti, architetture e arti decorative. Il museo è noto per la sua impressionante collezione di opere d’arte asiatiche, una delle più complesse degli Stati Uniti.

1. TCF Bank Stadium
Nessun viaggio in una grande città americana sarebbe davvero completo senza una gita nello stadio di football del luogo.
Per ora i Vikings e i Golden Gophers dell’Università del Minnesota condividono i 52,000 posti dello stadio nel campus universitario. Aperto dal 2009, lo stadio è un’ottima sede temporanea per i Vikings mentre la squadra aspetta che venga completato il nuovo stadio. Per questo attualmente lo stadio è il più piccolo della NFL. Anche se a prima vista potrebbe sembrare un passo indietro, visitarlo ora può dare ai visitatori l’opportunità di vivere in modo più intimo una partita di livello professionistico – un’opportunità che non capita molto spesso.

martedì, gennaio 30, 2018

Castelli di Puglia (I): Acaya: una città-castello inespugnabile

credits immagine: pietraleccese.net
Acaya è una piccola frazione del comune di Vernole (Lecce), di soli 450 abitanti, che rappresenta uno dei rari esempi di città fortificate del XVI secolo.
É al vertice settentrionale di un quadrilatero di vie composto anche dai castelli di Strudà ad ovest, Vanze ad est ed Acquarica a sud: tutti di origine medievale, ma tutti privi di mura fortificate, tranne rudimentali ostacoli come fossi, o muretti a secco di una certa altezza. Poi furono innalzate le torri costriere; e nella loro catena ininterrotta la distanza non doveva tanta da impedire la vista di una dall'altra. E in uno dei punti i cui gli ingegneri non avevano altra soluzione, ecco sorgere Acaya, un punto strategico, con un controllo del territorio talmente funzionale che nella zona i Turchi si guardarono bene dal rischiare un attacco che li lasciasse intrappolati nel reticolo della difesa.
Acaya rappresenta però anche altro. Grazie a Gian Giacomo, il più grande rappresentante della stirpe francese degli Acaya, regio ingegnere militare di Carlo V, fu il primo centro nel Meridione (e uno dei primi in Italia) ad essere edificato seguendo lo schema rinascimentale della città ideale.
E così appunto nel 1535 assunse il nome di Acaya, quando Gian Giacomo fortificò il centro costruendovi la cinta muraria e il fossato, e aggiunse bastioni e baluardi al castello fatto edificare nel 1506 dal padre Alfonso dell'Acaya.

credits immagine: pietraleccese.net
Abbandonati gli usuali riferimenti simbolico-religiosi, quali la chiesa e il campanile attorno ai quali si edificava tutto il resto, Gian Giacomo introdusse il criterio di una città dalle funzioni talmente precise da influenzarne la collocazione a la forma. Potremmo definirlo un ideale umanistico, una città laica nella quale le attività e le funzioni dell'uomo vengono poste al centro, e di conseguenza tutto viene costruito in base alle sue esigenze.
Di pianta trapezoidale, con i lati di circa 40 metri, dispone ai due spigoli opposti di due torrioni rotondi, alti quanto le cortine ed ornati da archetti e beccatelli, la cui forte sporgenza fungeva da ottimo sistema di difesa. L'angolo di sud-est presenta un imponente baluardo dallo spigolo molto appuntito rivolto verso il mare. E tutt'attorno correva un doppio ordine di casematte, uno rivolto verso il fossato, l'altro verso la campagna.
Alla gente del posto piace pensare che nelle rovine del castello vaghi ancora lo spirito di Gian Giacomo, che nonostante abbia costruito fortezze con maestria in tutto il sud, da Napoli (fortezza Sant'Elmo) a Crotone (mura della città), a Lecce (ospedale dello Spirito Santo), amava talmente tanto Acaya da indebitarsi per farla sempre più bella, fin quando, ormai malato ed anziano, il real commissario lo arrestò e lo rinchiuse nel castello di Lecce, dove il barone sopravvisse pochi giorni.
Da qui la discesa della stessa Acaya, e il suo castello, che per due secoli nessuno aveva osato sfidare, cadde nelle mani di pirati turchi che ne fecero scempio nel1714.
Forse però l'affronto peggiore per la città laica fu fatto da chi sistemò la statua di sant'Oronzo sulla porta d'ingresso.
credits immagine: pietraleccese.net
Una fortezza inespugnabile, che però non ha preservato nei secoli il suo aspetto, oggi «così mal ridotto e trascurato da non stonare affatto con la terra avara che lo circonda», come osserva lo storico locale Silvano Palamà, nonostante, aggiunge lo stesso storico, Acaya e il castello «creano una suggestione tutta loro, una strana magia nella quale si fondono tutti insieme gli alteri signori e il sudore dei contadini, le feste e le urla di quella terra che chiedeva molto e dava sempre poco».

lunedì, settembre 25, 2017

#Recensione: NICOLA RUBINO E' ENTRATO IN FABBRICA - Francesco Dezio

NICOLA RUBINO E' ENTRATO IN FABBRICA
Francesco dezio
Editore:  TerraRossa Edizioni 
Prezzo: 13,00 €
2017 | 174 pp.

SinossiNicola Rubino ha trent’anni quando intraprende la Via Crucis che lo trasformerà da stagista in operaio a tempo determinato di una grande azienda, da ribelle idealista in ingranaggio del sistema. Un romanzo che non si limita a denunciare un ambiente lavorativo opprimente e spersonalizzante, ma fa i conti con le aspirazioni frustrate di coloro che lo popolano e con la gamma completa dei loro sentimenti. Una storia in presa diretta che, tra narrazione e testimonianza, non rinuncia all’invettiva e all’espressività di una lingua che trova un inedito equilibrio tra letterarietà e gergo.


Il romanzo lascia poco spazio alla fantasia del lettore, poiché descrive la nuda e cruda realtà della fabbrica. La fabbrica è l’ambiente dove si svolge il romanzo e tutte le vicende narrate dall’autore, salvo qualche piccola descrizione esterna. Ciò che rende vivo e realistico il romanzo è la percepibile realtà di come sono descritti i personaggi e anche le piccole comparse presenti nella storia. L’uso di un registro linguistico molto basso e colloquiale rende ancor più realistica l’esperienza che vive il protagonista del romanzo, e avvicina ancor più il lettore a questo mondo. Protagonista del romanzo è Nicola Rubino, un uomo alla disperata ricerca di un lavoro, e che narra la sua vicenda all’interno del romanzo, alterando il racconto della realtà, vista attraverso i suoi occhi e i suoi personali commenti e paure, che si insinuano nella sua mente.
L’elemento cardine del libro è l’aspetto psicologico del protagonista, che si alterna alle descrizioni delle situazioni narrate nel romanzo. L’autore ha saputo alternare in maniera molto magistrale i due elementi Ciò che emerge in maniera cruda, e palesemente reale, e la triste realtà del mondo del lavoro in fabbrica dove si è costretti a lavorare con ore e turni pesanti, e si deve sottostare alle direttive di chi ti comanda. L’abilità dell’autore sta nel descrivere gli avvenimenti in maniera diretta, senza romanzare troppo, è poi il lettore a dover interpretare e capire dove andrà a parare o cosa ha voluto raccontare con una determinata scena.

 Se siete dei lettori curiosi, o verreste trascorrere un’uggiosa domenica pomeriggio di lettura, vi consiglio di acquistare questo romanzo, si legge tutto d’un fiato… e ti fa riflettere su una realtà che molto spesso diamo per scontata, o che ignoriamo totalmente.