Ho amato Glenn Cooper sin dal 2009, quando per caso
m’imbattei nelle avventure di Will Piper. L’ho amato e lo amo. Così, se questa
piccola recensione assumerà i contorni di un elogio senza limiti, siete già
stati avvertiti: semplicemente, lo amo. L’urgenza con cui finisco ogni suo
romanzo è pari solo all’attesa spasmodica di cui riempio i silenziosi vuoti lasciati
dai tempi necessari alla produzione del successivo. In quegli anni ormai
svaniti, immergendomi nelle incredibili avventure di Will, potevo restare ore e
ore persa tra le centinaia di pagine che però, appena finite, sembravano avere
la consistenza di un unico appunto, scarabocchiato a lato di chi sa quale
quaderno. La magia di Glenn.
Così, quando “Il calice della vita” è uscito, ho setacciato
la Mondadori come il miglior segugio. L’ho trovato. E l’ho fatto mio.
Come già mi era accaduto con “L’ultimo giorno”, non vedere
Will Piper al centro del vorticare di eventi mi aveva un po’ infastidito. Ma è
un mio limite del tutto personale rimanere intrappolata nella dimensione che
alcuni scrittori sanno creare. Destinata per sempre a rivivere quelle vicende.
Destinata per sempre a ricercare l’arguzia di quel personaggio in qualsiasi
lavoro l’autore si prodighi in seguito, non trovo più la via del ritorno.
Se la fortunata serie de “La biblioteca dei morti” aveva
espresso tutto il genio creativo di Glenn, impegnato a tracciare i contorni di
una trama innovativa, mai scontata, ideata esclusivamente dalla sua brillante mente
di scrittore, “Il calice della vita” riprende la più nota delle avventure: la
ricerca del Santo Graal. Eccoci quindi sulle tracce della reliquia più famosa
della cristianità, il cui passato e il cui destino sono da sempre avvolti
dall’affascinate manto del mistero e di cui la letteratura ha prodotto migliaia
di scritti. Glenn decide di affrontare la questione sotto una luce abbastanza
ovvia: la ricerca del Graal come sentiero di crescita personale; la ricerca del
Graal come chiave di volta di molteplici esistenze.
E allora il viaggio di Arthur Malory, discendente del famoso
cavaliere Thomas Malory e da sempre appassionato del Graal, non può che partire
quando la sua esistenza è del tutto sottosopra. Il suo migliore amico, Andrew
Holmes, è morto sotto i suoi occhi per mano di un misterioso assassino, Arthur
è stato licenziato e infine la sua casa è andata distrutta in un incendio per
niente casuale. Questi eventi però non sono sconnessi, né tanto meno fortuiti.
Dietro le disgrazie del giovane Arthur c’è la mano di un’organizzazione segreta
che da duemila anni tenta di rintracciare e impossessarsi del sacro calice.
Nonostante Arthur non ne abbia percezione, strane figure lo seguiranno nel suo
mirabolante itinerario, che lo vedrà districarsi tra vecchi bauli celati alla
memoria da soffitte polverose, uno strano biglietto nel Monastero di Montserrat
e la cripta del celebre architetto Gaudì, nelle profondità della Sagrada
Familia.
Ciò che ho apprezzato è stato il discostarsi
dall’ingombrante ombra di Dan Brown. Glenn Cooper non cerca di screditare la
Chiesa, non cerca di portare alla luce insabbiamenti e cospirazioni volti a
mantenere l’ordine mondiale. Con semplicità, Glenn Cooper racconta una storia.
E non punta il suo successo sulla polemica o sullo shock. È consapevole,
probabilmente, che la storia è solida, e il libro non ha bisogno di essere
scomodo per essere comprato.
Glenn dipinge una trama al cardiopalma che tiene incollati senza
respiro a ogni singola pagina, facendo rimpiangere i momenti in cui la vita
impone di abbandonare la lettura. Mai scontato, racconta ogni scena con immenso
realismo, senza soffermarsi su dettagliate descrizioni che romperebbero il
ritmo della narrazione, ma fornendo tutte le specificità tecniche che in un
romanzo di questo tipo sono estremamente necessarie.
Il passato in questo libro urla forte e non concede tregua. È
un passato potente, che ha la forza di illuminare e sconquassare il presente
dalle profondità delle radici della Storia. Un passato che, in una qualche
notte d’estate, deve aver strattonato la giacca di Glenn e deve avergli
sussurrato “Raccontami”. È un passato che si plasma sotto i nostri occhi e
profuma di ricordo, di nostalgia e di destino. Allora il percorso di Arthur
diventa il percorso di tutta l’umanità, alla ricerca di quella magia che è
essenza del mito, quella magia che sembra scomparsa dalla nostra quotidianità,
quella magia scritta nei fantasmi di cavalieri dai nobili valori. Quella magia
che ci piace pensare in un lontano passato fosse la linfa vitale capace di
muovere il mondo.
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"Il calice della vita" - quando il passato diviene avventura
4/
5
Oleh
Unknown