domenica, novembre 17, 2013

"Il calice della vita" - quando il passato diviene avventura


Ho amato Glenn Cooper sin dal 2009, quando per caso m’imbattei nelle avventure di Will Piper. L’ho amato e lo amo. Così, se questa piccola recensione assumerà i contorni di un elogio senza limiti, siete già stati avvertiti: semplicemente, lo amo. L’urgenza con cui finisco ogni suo romanzo è pari solo all’attesa spasmodica di cui riempio i silenziosi vuoti lasciati dai tempi necessari alla produzione del successivo. In quegli anni ormai svaniti, immergendomi nelle incredibili avventure di Will, potevo restare ore e ore persa tra le centinaia di pagine che però, appena finite, sembravano avere la consistenza di un unico appunto, scarabocchiato a lato di chi sa quale quaderno. La magia di Glenn.
Così, quando “Il calice della vita” è uscito, ho setacciato la Mondadori come il miglior segugio. L’ho trovato. E l’ho fatto mio.
Come già mi era accaduto con “L’ultimo giorno”, non vedere Will Piper al centro del vorticare di eventi mi aveva un po’ infastidito. Ma è un mio limite del tutto personale rimanere intrappolata nella dimensione che alcuni scrittori sanno creare. Destinata per sempre a rivivere quelle vicende. Destinata per sempre a ricercare l’arguzia di quel personaggio in qualsiasi lavoro l’autore si prodighi in seguito, non trovo più la via del ritorno.
Se la fortunata serie de “La biblioteca dei morti” aveva espresso tutto il genio creativo di Glenn, impegnato a tracciare i contorni di una trama innovativa, mai scontata, ideata esclusivamente dalla sua brillante mente di scrittore, “Il calice della vita” riprende la più nota delle avventure: la ricerca del Santo Graal. Eccoci quindi sulle tracce della reliquia più famosa della cristianità, il cui passato e il cui destino sono da sempre avvolti dall’affascinate manto del mistero e di cui la letteratura ha prodotto migliaia di scritti. Glenn decide di affrontare la questione sotto una luce abbastanza ovvia: la ricerca del Graal come sentiero di crescita personale; la ricerca del Graal come chiave di volta di molteplici esistenze.
E allora il viaggio di Arthur Malory, discendente del famoso cavaliere Thomas Malory e da sempre appassionato del Graal, non può che partire quando la sua esistenza è del tutto sottosopra. Il suo migliore amico, Andrew Holmes, è morto sotto i suoi occhi per mano di un misterioso assassino, Arthur è stato licenziato e infine la sua casa è andata distrutta in un incendio per niente casuale. Questi eventi però non sono sconnessi, né tanto meno fortuiti. Dietro le disgrazie del giovane Arthur c’è la mano di un’organizzazione segreta che da duemila anni tenta di rintracciare e impossessarsi del sacro calice. Nonostante Arthur non ne abbia percezione, strane figure lo seguiranno nel suo mirabolante itinerario, che lo vedrà districarsi tra vecchi bauli celati alla memoria da soffitte polverose, uno strano biglietto nel Monastero di Montserrat e la cripta del celebre architetto Gaudì, nelle profondità della Sagrada Familia.
Ciò che ho apprezzato è stato il discostarsi dall’ingombrante ombra di Dan Brown. Glenn Cooper non cerca di screditare la Chiesa, non cerca di portare alla luce insabbiamenti e cospirazioni volti a mantenere l’ordine mondiale. Con semplicità, Glenn Cooper racconta una storia. E non punta il suo successo sulla polemica o sullo shock. È consapevole, probabilmente, che la storia è solida, e il libro non ha bisogno di essere scomodo per essere comprato.
Glenn dipinge una trama al cardiopalma che tiene incollati senza respiro a ogni singola pagina, facendo rimpiangere i momenti in cui la vita impone di abbandonare la lettura. Mai scontato, racconta ogni scena con immenso realismo, senza soffermarsi su dettagliate descrizioni che romperebbero il ritmo della narrazione, ma fornendo tutte le specificità tecniche che in un romanzo di questo tipo sono estremamente necessarie.
Il passato in questo libro urla forte e non concede tregua. È un passato potente, che ha la forza di illuminare e sconquassare il presente dalle profondità delle radici della Storia. Un passato che, in una qualche notte d’estate, deve aver strattonato la giacca di Glenn e deve avergli sussurrato “Raccontami”. È un passato che si plasma sotto i nostri occhi e profuma di ricordo, di nostalgia e di destino. Allora il percorso di Arthur diventa il percorso di tutta l’umanità, alla ricerca di quella magia che è essenza del mito, quella magia che sembra scomparsa dalla nostra quotidianità, quella magia scritta nei fantasmi di cavalieri dai nobili valori. Quella magia che ci piace pensare in un lontano passato fosse la linfa vitale capace di muovere il mondo.

Condividi

articoli simili

"Il calice della vita" - quando il passato diviene avventura
4/ 5
Oleh