giovedì, luglio 11, 2013

Andy Warhol: tra genio e follia.

Alle volte viene demonizzato quello ciò è moderno, o ne vengono esaltati aspetti inutili.
C'è chi crede che il viaggio verso il futuro della nostra società debba essere fermato, criticato, distrutto, e si cerca di imporci questa visione, o erroneamente viene visto il passato come il nemico da cui allontanarsi più in fretta che possibile.
Questa schizofrenia tra vecchio e nuovo porta semplicemente le nuove generazioni ad essere ignoranti sul passato, e le vecchie prevenute sul futuro.
In una società consumistica di dimensioni abnormi come quella americana, tutto questo viene amplificato, instaurando una lotta tra ieri, oggi e domani.
 Quello su cui puntava l'arte di Andy Warhol era mostrarci l'oggetto in quanto tale, come un semplice oggetto che non ha né un presente né un passato, ma ha solo la sua staticità.
La serialità con cui Warhol riprendeva questi oggetti scarnificava ogni pro e contro, perchè il suo approccio era freddamente materialistico: se vi trovate davanti ad un suo quadro con una successione di bottiglie di Coca-Cola o di barattoli di zuppa Campbell, non vi fermate a pensare se questo prodotto viene dal presente o dal passato, ma solo quanto l'oggetto sia solo uno di tanti, solo un banalissimo pezzo di vetro o di latta su uno scaffale.
A quel punto cosa ne avrete ricavato? Avrete capito magari la funzione dell'oggetto in se, senza domandarvi se il progresso ha fatto bene a passare dal vetro alla plastica, o se nel futuro non mangeremo più la zuppa della nonna ma solo un barattolo già frullato.
Mi direte, ma Warhol ritraeva così anche volti noti, come Marilyn Monroe o Elizabeth Taylor.
Beh ma questi personaggi, soprattuto Marilyn, non erano infondo prodotti commerciali di una nuova America, che dominava il resto del mondo in tutto, anche nel Cinema?
Quello che fa Warhol è proprio fermare sulla sua tela oggetti e volti noti al pubblico americano, immagini così abitudinarie da diventare banali, che perdono la loro unicità nella serialità dell'opera, che vede un volto ripetuto decine di volte sulla tela.
Si ok non stavamo parlando del vecchio e del nuovo?
Vi volevo portare proprio qui, un'opera come quella di Warhol vi porta a vedere l'oggetto e a giudicarlo da voi stessi, così come vi appare.
Non c'è una spinta a rinnegare quel progresso, né una vivacità nel gratificare il passato.
L'obbiettivo di Warhol non è né quello di criticare né di esaltare. In un certo senso analizza e schematizza per noi.
Perchè la POP ART, di cui Andy Warhol è uno dei maggiori esponenti americani (e come puntualizzano molti critici, non il fondatore), non è solo masse di colori, oggetti iconici, dive e bibite gasate, la pop art è il nuovo modo di vedere il mondo e l'arte, negli anni '50 e '60 in particolar modo.
Sì, molte opere vi sembreranno bizzarre, eccessive, ma attraverso l'eccesso ci riconduce alla essenzialità. La follia di Warhol sta nel modo di rapportarsi alle forme d'arte, ma solo perchè molte cose fino a quel momento non erano state rappresentate così.
 La staticità dei volti di Marilyn è la constatazione che di lei è rimasto solo quello, un viso, molto truccato e iconicamente sorridente, un sorriso di scena, del personaggio. Warhol non poteva fotografarla, incontrarla, parlarle, Marilyn era morta, e quel viso è ciò che restava nella memoria di tutti.
Il modo quindi di considerare l'arte e di considerare arte il quotidiano, faranno di Warhol un genio e un folle, nel senso più creativo e inventivo del termine.
In 'Sleep' (1963) Warhol riprende per cinque ore e venti un uomo che dorme. Cosa c'è di folle in questo? Tutti noi dormiamo ogni notte per cinque, sei, sette, otto ore. No, la follia non sta nel gesto ma nel rappresentare in un film solo ed esclusivamente quel gesto. Genialità, perchè in realtà nessuno aveva mai pensato prima di farlo.
Un personaggio bizzarro, amava indossare parrucche, registrava ogni singola telefonata che riceveva o che faceva, sperimentava qualsiasi forma d'arte nel modo meno comune possibile, amava dipingere Gesù (son stati ritrovati quasi 200 ritratti e schizzi), cercava di dipingere il futuro, ma nell'ultimo periodo della sua vita ridipinse classici di Leonardo, Piero della Francesca e Paolo Uccello. Lavorò per la moda, per il cinema, per la pubblicità, per la musica.
Cercava la normalità di ogni oggetto, rendendolo appariscente agli occhi dello spettatore. Il suo pensiero commerciale spaziava in ogni campo.
E fondò la Factory, un vero e proprio tempio per pensieri, sensazioni e atti artistici, una sorta di open house, a cui tutti potevano collaborare. Follia era anche questa, un luogo in cui l'arte deve auto-crearsi da una esperienza comunitaria, dallo spunto di varie persone.
Una sorta di utopistica versione sociale della cultura. Ma non fatevi ingannare da questo, Warhol aveva una visione a tratti 'aristocratica' della cultura e della società, l'oggetto che lui schematizzava e serializzava non doveva necessariamente essere accessibile e fruibile da tutti. A lui questo non interessava.
A lui interessava rappresentarlo così come era l'oggetto, a lui interessava riprendere per ore una persona da un'unica telecamera e da una unica angolazione (Trovo il montaggio troppo stancante […] lascio che la camera funzioni fino a che la pellicola finisce, così posso guardare le persone per come sono veramente), a lui interessava immortalare così Marilyn, come la ricordava, a lui interessava un contatto con il Cristo non con Leonardo.
La geniale follia di Andy Warhol era interessata alla sua personale visione pop della società.
E ormai, si sa, avere un proprio personale punto di vista sul mondo, senza seguire il dettame della società, significa essere folli...

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Oleh