"Il regista che siede
sul palcoscenico
davanti al sipario a contemplare la Fiera,
si sente
pervadere dal sentimento
di profonda malinconia
che gli ispira quel
luogo brulicante di folla."
Iniziare questo articolo è
un po' come fare un salto indietro di quasi cinque anni nella mia
vita come studente universitario, in quanto vi parlerò del primo
libro che ho letto in ambito universitario. Il lettore certamente
abbandonerà l'articolo dopo aver letto la prima frase, pesando che
recensisca un manuale universitario o che mi metta a spiegare gli
aspetti tecnici e stilistici di un romanzo. In realtà voglio
semplicemente parlarvi di come mi abbia profondamente colpito e
trasformato la lettura del libro: "Vanity Fair: A novel
without a Hero " (La fiera della vanità). Già il
sottotitolo attira l'attenzione del lettore, in quanto non esiste una
"novel" romanzo senza eroe, dove manca quindi la morale e
l'anti morale (permettetemi questa licenza poetica).
Becky è la ragazza che
aspira ad essere una Lady, vuole diventare un qualcuno e ottenere
lusso, potere e ricchezza, tutte cose che in giovane età le sono
state negate a causa della condizione economica precaria in cui
vessava la sua famiglia. La donna sarà disposta a tutto, pur di
ottenere ciò che vuole.
Amelia è una ragazza
dolce pacata, una inetta, se paragonata a Becky. Vive costantemente
nel suo mondo patinato immaginario, se così lo si può definire,
dove le sue uniche ragioni d'esistenza sono il marito George Osborne
e il figlio George. Amelia idealizzerà la figura del marito per
tutto il romanzo fino a quando non scoprirà che in realtà ha amato,
e ha giurato amore eterno anche dopo la morte alla persona sbagliata.
Già l'introduzione di
queste due protagoniste promette al lettore una grande serie di
dinamiche che si amalgameranno nel corso della storia intrecciando i
diversi personaggi su diversi piani, sia sociali che emotivi.
L'opera ha il sottotitolo
di A novel whitout a Hero, poiché nella storia manca il vero e
proprio eroe in quanto nessuno è capace di imporsi veramente sia
nelle dinamiche che come un vero e proprio personaggio di spicco, che
riesce a spuntarla. Sebbene forse ci sia un personaggio che solo
nelle ultime pagine si può realmente definire un eroe: William
Dobbin, migliore amico del marito di Amelia, segretamente innamorato
di quest'ultima ma sempre rifiutato a causa dell'amore ossessivo
della donna nei confronti del suo ex marito deceduto in guerra.
Dobbin, forse può essere
definito l'unico eroe, poiché a differenza di tutti gli altri
personaggi è l'unico che mantiene una coerenza morale dall'inizio
alla fine, ed è l'unica persona leale e sincera sia per i personaggi
che ruotano attorno a lui, e sia per il lettore in quanto l'unico
punto fermo all'interno di questa vastissima Fiera della Vanità dove
ogni personaggio ricopre un ruolo, come se fosse a teatro, ma cambia
la sua maschera a seconda delle necessità.
Lo stesso autore/narratore
ricorda questo dettaglio sia all'inizio del romanzo nella premessa
che alla fine, quando conclude il romanzo con questa frase: "Ah!
Vanitas Vanitatum! Which of us is happy in this world? Which of us
has his desire? or, having it, is satisfied?-Come, children, let us
shut up the box and the puppets, for our play is played out."
Personalmente ritengo la
penna di William M. Thackeray, la più geniale e anche la più
irriverente della letteratura inglese, poiché con una magistrale
armonia, e con una grandissima padronanza è riusciuto a sfumare ogni
singolo personaggio della storia, dai protagonisti fino a delle
semplici comparse. E come lo sguardo d'insieme con il quale apre il
libro, allo stesso modo riesce ad entrare scalfendo la superficie
nella psicologia e nell'intimità di ogni singolo personaggio.
"In una splendida mattina di giugno,
nel secondo decennio del nostro secolo,
davanti al grande cancello di ferro
dell'educandato femminile di Miss Pinkerton..."
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Vanity Fair: La commedia è finita
4/
5
Oleh
Pietro M