martedì, febbraio 11, 2014

Andrea Esposito, uno scrittore che tocca l'anima.

Ischia, un'isola che fa parlare molto di sè per le sue bellezze paesaggistiche; per le sue proprietà curative grazie alle numerose sorgenti di acqua termale; per la cucina con il suo famosissimo coniglio e la freschezza dei pesci, fauna preziosa dei nostri mari. Ischia, un'isola che agli occhi dei turisti è un mondo di mistero e scoperta, di magia e relax, di cultura e storia. Per chi vive qui, capita di abituarsi a tutto questo e Ischia resta un posto come un altro, una casa troppo piccola, che non dà il giusto spazio. Per gli ischitani, Ischia è uno scoglio che non dà opportunità, dove emergere, farsi strada, diventare qualcuno appare impossibile. Ma nascere o meno in un determinato luogo, non è mai un ostacolo, anzi, nascere al sud, essere di qui non può che essere un arricchimento. Gli ostacoli, la maggior parte delle volte, sono nella nostra mente. E quando un tuo concittadino, con la sola forza della propria passione, con la sola forza della propria determinazione, taglia un traguardo che nessuno immaginava, ecco che Ischia, non è solo quello che la natura le ha donato. Il volto di questo giovane uomo è il volto di chi ce l'ha fatta, di chi ha trovato nel proprio paese una risorsa in più e l'ha sfruttata, l'ha fatta sua. Il suo volto è quello della speranza... se ce l'ha fatta lui, ce la possiamo fare tutti. Possiamo inseguire i nostri sogni, di qualsiasi specie essi siano e possiamo realizzarli. Già noto per la sua personalità, un uomo sempre gentile, con il sorriso sulle labbra; un uomo determinato e acculturato, con il quale parlare, confrontarsi è sempre un grande arricchimento personale. Intervistarlo, per me, è stato un onore. Il suo nome è andato oltre il nostro confine isolano, si è sparso per tutta l'Italia, dando ancora più prestigiono a questo nostro amato scoglio. E attraverso questa intervista, voglio farlo conoscere ai nostri cari lettori prudenti. Vi sto parlando di Andrea Esposito, scrittore esordiente (a detta sua, ma il tocco della sua penna è talmente profondo che si immerge nella tua anima e io, personalmente, lo vedo già come scrittore con la S maiuscola!), che ha pubblicato nel marzo 2011 il suo primo romanzo "Il paese nasconde", edito dalla casa editrice Graus. Conosciamo meglio il nostro intervistato:
Ciao, Andrea. Prima di tutto, grazie per il tuo tempo e per esserti concesso in questa lunga intervista. Siamo molto onorati, grazie!
Ciao Gilda, e un caro saluto a tutti i lettori di prudence! Grazie a voi tutti per questa bella occasione. Partimo!
Come è nata la tua passione per la scrittura? In famiglia hanno sempre sostenuto questa tua passione? C’è qualcuno nello specifico che ti ha incoraggiato a coltivarla?
Ho sempre avuto la passione per la lettura, prima ancora che per la scrittura, con una particolare predilezione per il genere noir che ritengo il più moderno e appropriato a raccontare la realtà odierna. Ho iniziato a scrivere prestissimo, appena dopo i dieci anni, ma ovviamente non avevo gli strumenti per il romanzo. Mi ispiravo ai fumetti della Bonelli, che ancora oggi colleziono gelosamente, sempre del genere che preferivo già allora: Dylan Dog non era per me solo uno svago ma una vera e propria fonte di ispirazione. Analizzavo le sceneggiature con scrupolo, non solo le cosiddette nuvolette. Avendo due genitori insegnanti, ovviamente in famiglia mi hanno sempre incoraggiato a coltivare la passione per la lettura e la scrittura, ma da nessuno in particolare ho avuto aiuti tecnico pratici. Ho sperimentato da totale autodidatta e credo che mi abbia fatto molto bene.
Quali autori hanno influenzato la tua vena scrittoria? Da lettore che genere ti appassiona?
Uno in particolare, il padre del noir moderno: Joe R.Lansdale, un maestro. Ma anche John Grisham, James Ellroy e Scott Turow, maestri del crime e legal-thriller, inventori di un noir meno universale che non usa il microcosmo di un posto particolare come metafora del mondo, ma si sporca le mani nelle grandi città metropolitane. Il mio genere è il “noir” perché non amo il giallo classico, lo ritengo inadatto al presente, superato. Nel noir non è sempre il bene a vincere e, anche quando ciò accade, i contorni tra esso e il male non sono così nettamente definiti. Allo stesso modo tra i personaggi del noir emerge l’antieroe, molto più dell’eroe, sia tra i buoni che tra i cattivi mettendo in evidenza l’eterna dualità dell’uomo, le sue contraddizioni, la forze e le debolezze. Il romanziere non deve insegnare nulla, non deve dare delle risposte ma porsi insieme al lettore delle domande che aiutino a comprendere la realtà. Una realtà che troppo spesso supera la fantasia e diventa più noir del noir. Il giallo alla Agata Christie, dove ci sono da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, è morto. Oggi il noir è miglior modo per raccontare come la presenza del male fa parte della vita di ciascuno, non lontano da noi, qualcosa che anche l’accentuazione delle diversità sociali (la donna, lo straniero) non riesce a scacciare come tristemente insegnano le cronache odierne.
Scrivi dei gialli, hai mai pensato di avventurarti verso un altro genere?
Scrivo noir e non ho mai pensato di cambiare genere, anche perché qualsiasi storia si racconti in qualche modo può avere connotazioni noir e, viceversa, tutti i romanzi noir raccontano la vita vera con i suoi sentimenti, gli amori, la dolcezza e la crudezza dei momenti, la sua completezza insomma.
Come nascono le tue storie? Quando preferisci scrivere? Come nasce l’incontro con la casa editrice Graus?
Credo che le storie per uno scrittore non nascano dal nulla. Sono già tutte dentro di noi. Lo scrittore è probabilmente solo una persona che riesce a sentire più delle altre qual è il momento giusto per raccontarle. Questo non significa che sia tutto istinto, scrivere può diventare una professione e come tale è impegno, lavoro e sacrificio. Io amo raccontare i microcosmi, ovvero di posti piccoli ma che diventano metafora del mondo intero, attraverso le ambientazioni, i luoghi ed i personaggi che li animano. Un po’ com’è sempre stato per me il paese in cui vivo, l’isola d’Ischia e Forio in particolare. Preferisco scrivere di notte, non per il silenzio o la concentrazione ma per un fatto di pura luminosità: trovo che le luci soffuse, il televisore acceso a volume basso, un po’ di buona musica, si possano conciliare solo di notte con la scrittura intesa come pura creazione di un racconto, un buon racconto naturalmente. Il rapporto col mio editore è nato per una collaborazione iniziata tanti anni fa in un campo che esula totalmente dall’editoria: mi sono sempre occupato di comunicazione, pubblicità ed organizzazione eventi. Così, per una serie di manifestazioni che la Graus annualmente organizza sull’isola, conobbi Piero ed iniziammo a collaborare. Da lì a sottoporgli la mia passione per la scrittura sotto forma del primo manoscritto, quello che poi sarebbe diventato IL PAESE NASCONDE, il passo è stato breve.
Il paese nasconde è il tuo romanzo d’esordio, è un romanzo di grande successo, tant’è che il sole 24 ore lo ha scelto per rappresentare la Campania; ti ha consentito di vincere il premio internazionale letterario di Spoleto, cosa hai provato quando hai saputo di aver vinto il premio e di essere stato scelto dal noto quotidiano nazionale? Racconta brevemente la tua esperienza a Spoleto.
Il premio internazionale di Spoleto e la pubblicazione con il SOLE24ORE sono stati probabilmente l’apice per il mio romanzo d’esordio, un onore naturalmente e una grande gioia, ma soprattutto la consapevolezza che si usciva, grazie a questi mezzi di comunicazione ed ai primi riconoscimenti, dal contesto localistico e paesano e si faceva un grande passo avanti, si entrava nel circuito della grande distribuzione e si dava la possibilità a molte più migliaia di lettori di condividere il romanzo. Ecco cosa mi ha dato più gioia, non i riconoscimenti in se stessi, ma il fatto di poter condividere la storia che ho raccontato con tantissime persone in più. Credo sia comune ad ogni scrittore, dall’esordiente quale io ancora mi considero al big da bestseller: il lettore è tutto, sapere che qualcun altro che non ti conosce ti legge è la soddisfazione più grande, poiché il romanzo nel cassetto non è un romanzo. Fa paura ma è così: un romanzo non pubblicato, anche se gira tra gli amici e riceve migliaia di like sui social, non esiste. Non è un romanzo.
Ne il Paese nasconde c’è molto di forio, il tuo comune di provenienza, cosa ti ha spinto a scegliere di ambientare il tuo romanzo proprio qui?
Forio è una location perfetta per un noir, un posto meraviglioso e ricco di bellezze naturali e architettoniche, affascinanti da raccontare, ma anche un luogo controverso, ricco di personaggi che esprimono sentimenti ambivalenti, contraddittori, doppie personalità, slanci di enorme passione, amore, altruismo e al contempo cinismo, meschinità, bassezze inimmaginabili. Questo è ciò che avviene nella vita, nella quale non solo esistono personaggi buoni e cattivi, come nei romanzi, ma possiamo dire che finanche dentro ognuno di noi esiste il bene e il male. E’ la vita vera e Forio la rappresenta al meglio, quale microcosmo, ovvero i luoghi non solo fisici, ma anche dell’anima che amo raccontare.
Scelta del tutto differente invece per il secondo romanzo. Parlaci di Nero Paradiso.
Ogni libro richiama un suo doppio che si colloca su un piano parallelo. Se Forio è il microcosmo che racconto ne IL PAESE NASCONDE, il Cilento e la costiera Amalfitana, i paesini di Rocca e Costa, sono il microcosmo che fa da sfondo a Nero Paradiso. Non ho voluto solo continuità rispetto all’esordio, ma anche una più ampia e articolata riflessione su alcuni temi a me cari: il «potere» e le forme in cui si manifesta, la politica come surrogato della religione senza uno spazio autonomo per le istituzioni. Lo Stato non c’è, o meglio c’è un deficit di razionalità pubblica colmato soltanto dall’UCS, l’unità dei crimini seriali guidata dai commissari Ranieri e Senese che danno la caccia al serial killer. L’altro tema è quello dell’«identità»: ne Il Paese nasconde c’è il sentimento xenofobo di Ottava Torre, un gruppo di cittadini di Forio autoproclamatosi custode dei valori tradizionali della comunità contro i rischi sociali dell’immigrazione. In Nero Paradiso, il razzismo come approdo ultimo e inevitabile di qualsiasi ripiegamento identitario. Lo incontriamo, all’inizio delromanzo, nella folle pulizia etnica perpretata dai serbi nella ex Jugoslavia. Nello stupro, a Costa Paradiso, di una giovane ragazza di colore che “in fondo se l’è cercata”. Soprattutto, nel confronto-scontro tra l’identità contadina di Rocca Montebuono, il paese in collina, e Costa Paradiso, la località turistica a valle. Lo scrittore non deve dare soluzioni ai problemi, ma porre interrogativi e raccontare la relatà com’è davvero, plastica e in tensione tra il rischio di isolamento e la ricerca dell’alterità. La consapevolezza che il male è in mezzo a «noi», cioè un dato relazionale ineliminabile, non giustifica la «reazione» di chi vorrebbe sfuggirlo rifugiandosi in un «altrove» incontaminato e, tra l’altro, solo immaginato. Tanto più che la rivendicazione della purezza delle origini, declinata sia in ambito familiare che sociale, lascia poi che sia la televisione l’unico «altro» in grado di ibridare e corrompere gli individui, con esiti tragici e grotteschi, come nella vicenda di "Billy" Montella, antieroe negativo del racconto.
Dopo l’enorme successo del primo romanzo, approcciarsi poi alla scrittura del secondo, è stato facile, naturale o hai sentito un po’ di pressione, di ansia?
Nessuna pressione né ansia. Chi ama scrivere non può farne a meno, è terapeutico, rigenerante. Quando si pubblica un romanzo si pensa sempre e solo a cosa penseranno i lettori, che valutazione ne faranno, se piacerà. Ma prima, quando si scrive, si è posseduti e lo si fa solo con se stessi. Esiste solo passione e appagamento, nient’altro.
Sbirciando la tua pagina facebook, ho letto che hai concluso la stesura del tuo terzo romanzo, puoi sussurarci in anteprima qualche dettaglio? Il titolo, magari?
Posso dirvi che sarà un romanzo ucronico, un genere che mi ha sempre affascinato. Ovvero provare ad immaginare se alcuni fatti salienti della Storia del mondo siano andati diversamente. Immaginate solo per un attimo che il dottor Mengele, l’Angelo della Morte di Auschwitz, non sia morto ma insieme ad altri gerarchi nazisti e alcuni esponenti di organizzazione di estrema destra sudamericane si sia rifugiato in America Latina e abbia scoperto, attraverso le sue ricerche sui gemelli, il segreto dell’immortalità ma lo abbia tenuto nascosto per quarant’anni al mondo intero. Non mette già i brividi? Il romanzo ha per protagonista un uomo disperato che crede di aver individuato in un paesino del Matese un gruppetto di vecchietti ultracentenari, sotto le cui mentite spoglie si nascondano i suddetti immortali. Lui vuole vivere per sempre e, per carpirgli il segreto, inizia a dar loro la caccia. La realtà naturalmente, come sempre accade, è ben più razionale e tragica, non c’è nulla di fantascientifico ma si cela in drammatici ricordi nascosti dal protagonista nel profondo della sua psiche, per non impazzire. Una scia di sangue attira sul posto l’Unita per i Crimini Seriali del commissario Senese che, in quel paesino, non deve solo dar la caccia a questo assassino seriale ma anche proteggere quanto ha di più caro e che ha abbandonato tanti anni prima, soffrendo enormi sensi di colpa: sua figlia Celeste, una meravigliosa ragazza non vedente. Può bastare? Il titolo è nella breve sinossi che vi ho fatto, divertitevi a scoprirlo voi!
Oggi la tecnologia ha iniziato un po’ a dar fastidio alla carta stampata. Ci sono i tablet, ad esempio, che consentono la lettura e l’acquisto di romanzi non più in formato cartaceo, bensì pdf. Cosa ne pensi? Il fascino del libro, sentire il profumo delle pagine, il contatto fisico con la storia, pensi che abbiano smesso del tutto di coinvolgere i lettori?
Adoro la tecnologia e le migliaia di possibilità che ci da di comunicare. Non approvo chi la demonizza e crea angosciosi allarmismi. Ogni cosa può essere buona o cattiva a seconda dell’uso che se ne fa, tranne la violenza. Ecco perché ritengo i moderni mezzi di comunicazione una benedizione anche per gli scrittori, purchè il loro uso non diventi ossessivo compulsivo e quindi violento, sopraffattore della carta stampata. Credo che il mondo in cui viviamo sia ancora così enorme e variegato da poter dare ad entrambe i mezzi lo spazio che meritano. Se poi mi si chiede una predilezione personale, ti rispondo che il libro cartaceo non morirà mai proprio per i motivi che elencavi sopra: il contatto con la pagina, il profumo dell’inchiostro, sono parti di un contatto fisico al quale i veri appassionati di letteratura non possono rinunciare. Io non lo farò mai, leggerò sempre libri in formato cartaceo ma ciò non mi impedirà, quando ne avrò bisogno o ci sarò costretto, di leggerne qualcuno sul tablet.
Cosa consiglieresti a chi ha un romanzo nel cassetto? Soprattutto ai giovani che amano scrivere, cosa senti di dir loro?
Di non ascoltare i consigli di nessuno e, a patto di avere una storia da raccontare, semplicemente metterci sudore e impegno e scrivere! La letteratura non è una scienza esatta, non ci sono regole né dogmi, non esistono più neppure i confini ben definiti tra i generi letterari. Nessuno è mai riuscito a ingabbiare uno scrittore, a patto che abbia talento naturalmente, ma quello non lo si scopre davanti ad una pagina bianca: saranno i lettori a dirlo, il loro giudizio è insindacabile. Fino ad allora, alla pubblicazione, dare consigli o percorsi predefiniti a chi ama scrivere significa uccidere la sua storia nella culla. Come diceva il grande maledetto Chrales Bukowski “Per imparare a scrivere bene non c’è altro fottutissimo modo che...scrivere”
Lasceresti un messaggio per i tuoi fans e per i nostri lettori, i prudenti?
Ricordate ciò che leggete, non tenetelo per voi, discutetene con gli amici, regalate i vostri pensieri insieme ai vostri libri ai figli, ai giovanissimi. La memoria letteraria resta viva se c’è qualcuno che la tramanda, come per il ricordo delle persone che amiamo! Noi vi lasciamo così, con queste ultime sue parole, che racchiudono quanto di meraviglioso c'è nella lettura e nella scrittura: un tramandare di emozioni, che non andranno mai perdute. Grazie mille, Andrea!

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