(George Orwell, “1984”)
Immagine tratta da electro-gn.com |
Rispondiamo
sinceramente: quante volte noi pensiamo nella nostra vita, intendo, Pensiamo
con la p maiuscola?
Un
esempio banale e preciso: Pensare è fare panoramiche e dettagli di tutte le
faccende e i dilemmi che si dovranno sbrigare, non-pensare è inventarsi
rapidamente temporanei rimedi a emergenze immediate.
Se
la risposta è “Sì, io progetto!”, voi potete smettere di leggere e io di
scrivere questo articolo. Se “No, io mi getto!”, consoliamoci: fanno così tutti,
persino laggiù in politica («Ideologia!
Ideologia! Malgrado tutto credo ancora che ci sia…» cantava qualcuno)!
Questa
è la conseguenza sociologica di un luogo comune affermatosi in questi frenetici
tempi di movimento incessabile, precipitoso e confuso: l’azione concreta è
tutto, conta l’agire, mentre l’idea è inconsistente, quasi inutile, solo
un’artificiosa proiezione a posteriori del fatto.
Trascurando l’antico
dibattito sul rapporto tra teoria e prassi, che equivale un po’ a interrogarsi
su chi sia nato prima tra l’uovo e la gallina, dov’è il problema?
Il
problema è che l’indolenza di pensiero di qualsiasi forma o tipo è sempre
accompagnata da una certa passività e incondizionata accettazione; non ci addentreremo
certo nella solita denuncia trita e ritrita dei media e della manipolazione di
massa… mi limiterò a dire che non è affatto un caso se, quando andiamo al
supermercato per comprare qualche bene di prima necessità come il sale o la
pasta, tendiamo a girare in senso antiorario, e riusciamo a trovare il prodotto
cercato solo dopo almeno una mezz’ora abbondante di ricerche!
Immagine tratta da energiamaya.com |
Pensare
consapevolmente, anche solo per la risoluzione di problemi privati, è allora il
primo, e forse più temuto, gesto di impegno e ribellione.
Purtroppo, nonostante le apparenze, è anche il più difficile da compiere per chi non è abituato: quindi, di seguito saranno riportate delle illustrazioni sul funzionamento della mente e ragguagli elaborati da alcuni esperti per riflettere in maniera più lucida, e per affilare meglio le lame della nostra rivoluzione personale.
1- Ricco, anzi, ricchissimo vocabolario. Frase ripetuta costantemente dai linguisti
occasionali della domenica. Anche le citazioni autorevoli si sprecano,
giungendo fino alla Bibbia; tra tutte, forse le parole più interessanti, o
sicuramente affascinanti, sono del novecentesco Heidegger: “Il linguaggio è una
finestra sull’Essere”…
Purtroppo, nonostante le apparenze, è anche il più difficile da compiere per chi non è abituato: quindi, di seguito saranno riportate delle illustrazioni sul funzionamento della mente e ragguagli elaborati da alcuni esperti per riflettere in maniera più lucida, e per affilare meglio le lame della nostra rivoluzione personale.
Fuor
da astratte speculazioni, il merito della lingua viene spesso sottovalutato dai
più, in quanto si riconosce solo la sua funzione comunicativa (o, in termini
tecnici, funzione referente): a ogni
suono è associato un oggetto, così per far intendere quell’oggetto si modula
quel determinato suono. In realtà, il grande potere del linguaggio sta nella
sua funzione significante: nel
momento in cui si pronuncia un nome, noi non stiamo solo identificando un
oggetto reale, ma stiamo già descrivendo delle qualità dell’oggetto,
inserendolo in una fitta rete di collegamenti e relazioni; per esempio, nella
parola “automobile” sono già implicite le idee di capacità potenziale (desinenza
“-bile”, “che può essere”), di movimento (radice “mob”), e di autonomia
(prefisso “auto”).
Compenetrare
più a fondo i rapporti del tutto, ordinare e padroneggiare maggiormente ciascun
concetto, comprendere meglio il contingente attraverso la scelta delle
sfumature più idonee di caso in caso: questi i vantaggi reali del possesso di
un ampio lessico, senza dimenticare che ciò che non è designato da un nome molto
difficilmente può essere pensato… i limiti del nostro mondo sono i limiti della
nostra lingua.
Georges Braque, "La Tasse" |
Immagine tratta da it.123rf.com |
3-
Studiamo per un restilying (attributivo). Anche se la
scienza ha ormai constatato che il caso e la probabilità hanno un ruolo
fondamentale nei fenomeni, ciò non toglie che il principio di causa necessaria
è una delle categorie fondamentali con le quali il nostro cervello interpreta
il mondo, come affermava Shopenhauer.
Alla realtà piacciono le simmetrie e i leggeri anacronismi
(Jorge Luis Borges)
|
Lo stile attributivo, in effetti, è quel processo cognitivo, scoperto
dallo psicologo Albert Ellis, che si occupa di riordinare i vari fatti
registrati secondo una consequenzialità logica di causa-effetto; tuttavia, tale
riordinamento avviene in maniera arbitraria e personale, e quindi non sempre
esatta (in generale, si può tendere ad avere un “locus of control” esterno,
ovvero a pensare che tutto ciò che capita è dovuto a forze esterne, o interno,
credendosi gli unici responsabili di ogni avvenimento).
Approfondire lo studio dei
corretti rapporti causa-effetto non solo eviterà inutili sensi di colpa o
vittimismi, ma permetterà un cosciente controllo sugli eventi e, per chi si
darà molto da fare, addirittura la previsione.
Qualche dimostrazione
pratica: se dovessimo uscire con un gruppo di persone nuove cui vorremmo
risultare subito simpatici, sapremo che basterà indossare vestiti con colori
molto accesi, perché l’encefalo tende a riconoscerli come amichevoli; oppure,
se ci troviamo davanti al rovesciamento violento di un regime autoritario,
sfogliando un po’ la storia sapremo che probabilmente esso verrà sostituito da
un altro regime dittatoriale.
4-
No al crogiolamento. Sempre più persone ormai preferiscono
rimuginare e rimuginare sulle cause, su pericoli cataclismatici, sulle colpe,
piuttosto che riflettere per possibili strategie seguendo un algoritmo di
problem solving; lo si può osservare dalle riunioni parlamentari alle assemblee
di classe a quelle di condominio.
Ovviamente, questo genera
inerzia e inoperosità, oltre a un enorme zibaldone.
Daniel Goleman, famoso
studioso degli stati emotivi, ha individuato anche un altro tipo di
crogiolamento, più pericoloso: quello dovuto a rabbia, ansia e tristezza; tali
emozioni infatti tendono ad autoalimentarsi all’interno dell’amigdala formando
vere e proprie “catene di pensieri”, nelle quali ogni nuovo pensiero (che
ovviamente sarà distorto e assolutamente non obiettivo) provoca una reazione
emotiva più intensa del precedente, sfociando alla fine in gesti inconsulti,
come atti di violenza, crisi di panico o depressione.
"Uomo malinconico" di Dolianova (Enrico Vacca) |
Per sfuggire al primo tipo
di crogiolamento basta concentrarsi un po’ e rendersi conto dell’inutilità del
proprio arrabattarsi mentale. Più complicato da affrontare il crogiolamento
emotivo: le catene di pensieri spesso ci persuadono della loro giustezza, o si
mascherano come sane meditazioni interiori, o semplicemente noi proviamo un
certo gusto nel guazzarvi dentro (le catecolamine, gli ormoni responsabili
della collera, danno un’eccitante sensazione di forza e invincibilità, mentre
quella torpida paralisi tipica della tristezza
risulta piacevole per molti aspetti).
I consigli per
disincantarsi sono molti e diversi in rapporto all’emozione e all’origine di
essa, ma i principali e validi per ognuno sono: cercare di uscire dalla catena
non appena ci si accorge di essa; mettere in discussione le varie idee che si
creano, magari cambiando punto di vista (vedi punto precedente); sfogarsi con
della sana attività fisica, anche solo una passeggiata all’aperto.
5- Relax, individuazione degli obbiettivi. Il pensiero è definibile come uno smisurato oceano nel quale è facile perdere la rotta, essere travolti da improvvise tempeste, trascinati dalle correnti o bloccarsi nella bonaccia; tra tante avversità, bisogna usare l’obbiettivo come faro verso cui orientare la navigazione.
5- Relax, individuazione degli obbiettivi. Il pensiero è definibile come uno smisurato oceano nel quale è facile perdere la rotta, essere travolti da improvvise tempeste, trascinati dalle correnti o bloccarsi nella bonaccia; tra tante avversità, bisogna usare l’obbiettivo come faro verso cui orientare la navigazione.
Fase più importante in ogni riflessione, dopo una breve descrizione della situazione e analisi preliminare delle cause, è quindi la specificazione di cosa vogliamo, di qual è il nostro fine, per poi passare alla valutazione dei modi migliori per ottenerlo o raggiungerlo.
A
volte il problema si rivela proprio il non sapere cosa si vuole veramente, ma
anche in questo caso possiamo individuare un obbiettivo preciso: l’individuazione
di un obbiettivo preciso! La capacità di afferrare subito la propria volontà o
scegliere con cognizione e sicurezza dipende dalla maturazione personale e
conoscenza di sé stessi, ma un paio di indicazioni aiutano sempre.
Sospensione
del giudizio: il tempo o una dormita hanno la capacità di rischiarare anche i
nodi più intricati.
Dove
non basta il ragionamento razionale, ascoltiamo gli impulsi, le emozioni, i
sentimenti, le intuizioni.
Silenzio
interiore: facciamo tacere ogni singola voce della nostra coscienza,
annulliamoci quasi, e entriamo così una sorta di estatica contemplazione su noi
stessi e ciò che ci circonda (anche esercizi di respirazione possono risultare
molto efficaci).
Non
si abbia paura di concedersi momenti di ristoro, o dedicati a hobbies.
6- Analitica curiosità e balda critica. È fondamentale chiedersi sempre: “Perché?”.
6- Analitica curiosità e balda critica. È fondamentale chiedersi sempre: “Perché?”.
Questo
imperativo categorico potrà sembrarci scontato, forse pure discutibile, ma la
duplice risposta alle nostre legittime riluttanze non lascia adito a dubbi: pragmaticamente
asserendo, condursi in fondo alle cose, indagando possibilità, validità e
limiti, insomma criticando, impedisce
di venire ingannati e manovrati, e permette di costruirsi una propria opinione
o alternativa.
Da
un aspetto più filosofico e astratto, ricordiamoci che la sete di conoscenza, quella che nel 200’ spinse l’Ulisse di
Dante alla morte, oggi spinge un uomo alla vita: lo scienziato Stephen Hawking,
famoso per le sue scoperte sui buchi neri, aveva appena vent’anni quando gli fu
diagnosticata una rara malattia degenerativa ai motoneuroni; pur non muovendosi
e non parlando autonomamente, egli ha continuato le sue ricerche e studi, messo
su famiglia, contribuito alla fisica mondiale e alla sua divulgazione, ed è diventato
così personaggio di spicco e idolo mondiale per tanti giovani.
Il
suo appello all’umanità, pronunciato durante l’apertura delle Paralimpiadi di
Londra, è proprio: «Provate a trarre un senso da ciò che
vedete e domandatevi cosa fa esistere l’universo. Siate curiosi!» Egli
rappresenta la conferma che la vera essenza dell’umanità è la conoscenza, anzi
il desiderio di conoscenza, la curiosità! E di curiosità quindi dovremmo
nutrire noi stessi, la nostra vita e il nostro pensiero.
Condividi
Ore 12 - Psicoarmiamoci.
4/
5
Oleh
Unknown
1 commenti:
commentiI miei neuroni stanno sudando a bordopista: grazie per la ginnastica mentale :-)
Reply