mercoledì, febbraio 20, 2013

Ore 12 - Psicoarmiamoci.


Aveva commesso (e l’avrebbe commesso anche se non l’avesse mai messo nero su bianco) quel reato fondamentale che conteneva dentro di sé tutti gli altri. Lo chiamavano psicoreato.
(George Orwell, “1984”)



  Immagine tratta da electro-gn.com

Rispondiamo sinceramente: quante volte noi pensiamo nella nostra vita, intendo, Pensiamo con la p maiuscola?

Un esempio banale e preciso: Pensare è fare panoramiche e dettagli di tutte le faccende e i dilemmi che si dovranno sbrigare, non-pensare è inventarsi rapidamente temporanei rimedi a emergenze immediate.

Se la risposta è “Sì, io progetto!”, voi potete smettere di leggere e io di scrivere questo articolo. Se “No, io mi getto!”, consoliamoci: fanno così tutti, persino laggiù in politica («Ideologia! Ideologia! Malgrado tutto credo ancora che ci sia…» cantava qualcuno)!

Questa è la conseguenza sociologica di un luogo comune affermatosi in questi frenetici tempi di movimento incessabile, precipitoso e confuso: l’azione concreta è tutto, conta l’agire, mentre l’idea è inconsistente, quasi inutile, solo un’artificiosa proiezione a posteriori del fatto.
 
Trascurando l’antico dibattito sul rapporto tra teoria e prassi, che equivale un po’ a interrogarsi su chi sia nato prima tra l’uovo e la gallina, dov’è il problema?

Immagine tratta da energiamaya.com
Il problema è che l’indolenza di pensiero di qualsiasi forma o tipo è sempre accompagnata da una certa passività e incondizionata accettazione; non ci addentreremo certo nella solita denuncia trita e ritrita dei media e della manipolazione di massa… mi limiterò a dire che non è affatto un caso se, quando andiamo al supermercato per comprare qualche bene di prima necessità come il sale o la pasta, tendiamo a girare in senso antiorario, e riusciamo a trovare il prodotto cercato solo dopo almeno una mezz’ora abbondante di ricerche!

Pensare consapevolmente, anche solo per la risoluzione di problemi privati, è allora il primo, e forse più temuto, gesto di impegno e ribellione.

Purtroppo, nonostante le apparenze, è anche il più difficile da compiere per chi non è abituato: quindi, di seguito saranno riportate delle illustrazioni sul funzionamento della mente e ragguagli elaborati da alcuni esperti per riflettere in maniera più lucida, e per affilare meglio le lame della nostra rivoluzione personale.


1- Ricco, anzi, ricchissimo vocabolario. Frase ripetuta costantemente dai linguisti occasionali della domenica. Anche le citazioni autorevoli si sprecano, giungendo fino alla Bibbia; tra tutte, forse le parole più interessanti, o sicuramente affascinanti, sono del novecentesco Heidegger: “Il linguaggio è una finestra sull’Essere”…

Georges Braque, "La Tasse"
Fuor da astratte speculazioni, il merito della lingua viene spesso sottovalutato dai più, in quanto si riconosce solo la sua funzione comunicativa (o, in termini tecnici, funzione referente): a ogni suono è associato un oggetto, così per far intendere quell’oggetto si modula quel determinato suono. In realtà, il grande potere del linguaggio sta nella sua funzione significante: nel momento in cui si pronuncia un nome, noi non stiamo solo identificando un oggetto reale, ma stiamo già descrivendo delle qualità dell’oggetto, inserendolo in una fitta rete di collegamenti e relazioni; per esempio, nella parola “automobile” sono già implicite le idee di capacità potenziale (desinenza “-bile”, “che può essere”), di movimento (radice “mob”), e di autonomia (prefisso “auto”).

 Compenetrare più a fondo i rapporti del tutto, ordinare e padroneggiare maggiormente ciascun concetto, comprendere meglio il contingente attraverso la scelta delle sfumature più idonee di caso in caso: questi i vantaggi reali del possesso di un ampio lessico, senza dimenticare che ciò che non è designato da un nome molto difficilmente può essere pensato… i limiti del nostro mondo sono i limiti della nostra lingua.

 
2- Cambi di prospettiva, ovvero l’apprendimento. Tentiamo di risolvere questo piccolo rompicapo:

Immagine tratta da it.123rf.com

unire tutti e nove i pallini tracciando quattro linee senza mai sollevare la penna (ipotetica) dal foglio (si fa per dire).

Più arduo del previsto? Colpa del punto di vista tradizionale: raggruppando tutti i pallini in un unico quadrato, ci costringe a ricercare la soluzione lungo il suo intero perimetro! E, con devastante spudoratezza, ci vengono sbandierati i limiti dei nostri convincimenti e modi di vedere (chiamati, in psicologia, belief), che deformano le percezioni e ostacolano la risoluzione di problemi.
 
Ecco perché cambiare prospettiva e confrontarsi con visioni diverse è una necessità imprescindibile, tanto per le impressioni (bisogna pensare alcuni dei pallini come parte di un triangolo) quanto per la cultura, i costumi, la società… Ne seguirà sempre un arricchimento, determinato dal metodo stesso di apprendimento umano: assimilazione e accomodamento (teoria dell’apprendimento di Piaget): una volta costruito un nostro sistema di catalogazione, noi ordiniamo i vari dati ricevuti secondo tale sistema, non poco agevolati anche dall’opera di manipolazione del belief; ma quando incontriamo un elemento che proprio non si adatta, o un problema che non può essere sciolto con gli schemi classici, abbiamo solo due chance: o lo ignoriamo, o modifichiamo appositamente il nostro sistema. La prima opzione si chiama scappare, la seconda crescere.
 


3- Studiamo per un restilying (attributivo). Anche se la scienza ha ormai constatato che il caso e la probabilità hanno un ruolo fondamentale nei fenomeni, ciò non toglie che il principio di causa necessaria è una delle categorie fondamentali con le quali il nostro cervello interpreta il mondo, come affermava Shopenhauer. 
Alla realtà piacciono le simmetrie e i leggeri anacronismi
(Jorge Luis Borges)


Lo stile attributivo, in effetti, è quel processo cognitivo, scoperto dallo psicologo Albert Ellis, che si occupa di riordinare i vari fatti registrati secondo una consequenzialità logica di causa-effetto; tuttavia, tale riordinamento avviene in maniera arbitraria e personale, e quindi non sempre esatta (in generale, si può tendere ad avere un “locus of control” esterno, ovvero a pensare che tutto ciò che capita è dovuto a forze esterne, o interno, credendosi gli unici responsabili di ogni avvenimento).

Approfondire lo studio dei corretti rapporti causa-effetto non solo eviterà inutili sensi di colpa o vittimismi, ma permetterà un cosciente controllo sugli eventi e, per chi si darà molto da fare, addirittura la previsione.
Qualche dimostrazione pratica: se dovessimo uscire con un gruppo di persone nuove cui vorremmo risultare subito simpatici, sapremo che basterà indossare vestiti con colori molto accesi, perché l’encefalo tende a riconoscerli come amichevoli; oppure, se ci troviamo davanti al rovesciamento violento di un regime autoritario, sfogliando un po’ la storia sapremo che probabilmente esso verrà sostituito da un altro regime dittatoriale.


 4- No al crogiolamento. Sempre più persone ormai preferiscono rimuginare e rimuginare sulle cause, su pericoli cataclismatici, sulle colpe, piuttosto che riflettere per possibili strategie seguendo un algoritmo di problem solving; lo si può osservare dalle riunioni parlamentari alle assemblee di classe a quelle di condominio.

Gruppo di politici in consiglio
Ovviamente, questo genera inerzia e inoperosità, oltre a un enorme zibaldone.
Daniel Goleman, famoso studioso degli stati emotivi, ha individuato anche un altro tipo di crogiolamento, più pericoloso: quello dovuto a rabbia, ansia e tristezza; tali emozioni infatti tendono ad autoalimentarsi all’interno dell’amigdala formando vere e proprie “catene di pensieri”, nelle quali ogni nuovo pensiero (che ovviamente sarà distorto e assolutamente non obiettivo) provoca una reazione emotiva più intensa del precedente, sfociando alla fine in gesti inconsulti, come atti di violenza, crisi di panico o depressione.

"Uomo malinconico" di Dolianova (Enrico Vacca)
Per sfuggire al primo tipo di crogiolamento basta concentrarsi un po’ e rendersi conto dell’inutilità del proprio arrabattarsi mentale. Più complicato da affrontare il crogiolamento emotivo: le catene di pensieri spesso ci persuadono della loro giustezza, o si mascherano come sane meditazioni interiori, o semplicemente noi proviamo un certo gusto nel guazzarvi dentro (le catecolamine, gli ormoni responsabili della collera, danno un’eccitante sensazione di forza e invincibilità, mentre quella torpida paralisi tipica della tristezza  risulta piacevole per molti aspetti).
I consigli per disincantarsi sono molti e diversi in rapporto all’emozione e all’origine di essa, ma i principali e validi per ognuno sono: cercare di uscire dalla catena non appena ci si accorge di essa; mettere in discussione le varie idee che si creano, magari cambiando punto di vista (vedi punto precedente); sfogarsi con della sana attività fisica, anche solo una passeggiata all’aperto.


5- Relax, individuazione degli obbiettivi. Il pensiero è definibile come uno smisurato oceano nel quale è facile perdere la rotta, essere travolti da improvvise tempeste, trascinati dalle correnti o bloccarsi nella bonaccia; tra tante avversità, bisogna usare l’obbiettivo come faro verso cui orientare la navigazione.

Fase più importante in ogni riflessione, dopo una breve descrizione della situazione e analisi preliminare delle cause, è quindi la specificazione di cosa vogliamo, di qual è il nostro fine, per poi passare alla valutazione dei modi migliori per ottenerlo o raggiungerlo.
A volte il problema si rivela proprio il non sapere cosa si vuole veramente, ma anche in questo caso possiamo individuare un obbiettivo preciso: l’individuazione di un obbiettivo preciso! La capacità di afferrare subito la propria volontà o scegliere con cognizione e sicurezza dipende dalla maturazione personale e conoscenza di sé stessi, ma un paio di indicazioni aiutano sempre.
 
Sospensione del giudizio: il tempo o una dormita hanno la capacità di rischiarare anche i nodi più intricati.
Dove non basta il ragionamento razionale, ascoltiamo gli impulsi, le emozioni, i sentimenti, le intuizioni.
Silenzio interiore: facciamo tacere ogni singola voce della nostra coscienza, annulliamoci quasi, e entriamo così una sorta di estatica contemplazione su noi stessi e ciò che ci circonda (anche esercizi di respirazione possono risultare molto efficaci).
Non si abbia paura di concedersi momenti di ristoro, o dedicati a hobbies.


6- Analitica curiosità e balda critica. È fondamentale chiedersi sempre: “Perché?”.
Questo imperativo categorico potrà sembrarci scontato, forse pure discutibile, ma la duplice risposta alle nostre legittime riluttanze non lascia adito a dubbi: pragmaticamente asserendo, condursi in fondo alle cose, indagando possibilità, validità e limiti, insomma criticando, impedisce di venire ingannati e manovrati, e permette di costruirsi una propria opinione o alternativa.
Da un aspetto più filosofico e astratto, ricordiamoci che la sete di conoscenza, quella che nel 200’ spinse l’Ulisse di Dante alla morte, oggi spinge un uomo alla vita: lo scienziato Stephen Hawking, famoso per le sue scoperte sui buchi neri, aveva appena vent’anni quando gli fu diagnosticata una rara malattia degenerativa ai motoneuroni; pur non muovendosi e non parlando autonomamente, egli ha continuato le sue ricerche e studi, messo su famiglia, contribuito alla fisica mondiale e alla sua divulgazione, ed è diventato così personaggio di spicco e idolo mondiale per tanti giovani.
Il suo appello all’umanità, pronunciato durante l’apertura delle Paralimpiadi di Londra, è proprio: «Provate a trarre un senso da ciò che vedete e domandatevi cosa fa esistere l’universo. Siate curiosi!» Egli rappresenta la conferma che la vera essenza dell’umanità è la conoscenza, anzi il desiderio di conoscenza, la curiosità! E di curiosità quindi dovremmo nutrire noi stessi, la nostra vita e il nostro pensiero.




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Oleh

1 commenti:

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lunedì, febbraio 25, 2013 1:42:00 AM

I miei neuroni stanno sudando a bordopista: grazie per la ginnastica mentale :-)

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