All’interno del disco, nel libricino in dotazione, tra i ringraziamenti e le brevi digressioni c’è anche questa frase: "Questo disco va suonato a volume molto alto e, se possibile, non va usato come sottofondo". Quando la lessi per la prima volta mi incuriosì non poco. Pensavo fosse una loro espressione a effetto per invitare l’ascoltatore a prestare attenzione ai loro testi, perdesi nella psicheledia delle note. Altre volte pensavo invece che fosse semplicemente un’uscita campata lì come trovata pubblicitaria.
Il tutto, fino a una notte ben precisa. Lasciamo perdere cosa avvenne prima, basta sapere che a un certo punto di questa fatidica notte rientrai in casa. Fu uno di quei rientri in cui anche se avessi accesso un faro da stadio, non avrei potuto evitare di urtare in ordine: mobili, soprammobili, stipiti delle porte, angoli sconosciuti della casa. Oltre ai problemi di equilibrio, si aggiunse ben presto quello strano senso di malessere che può aver provato chiunque si sia mai trovato in una piccola barchetta in mezzo ad una tempesta atlantica, oppure semplicemente per aver indugiato troppo con pseudo amici etilici. Scansai quindi l’ipotesi immediata del letto per paura di alimentare queste sensazioni.
Bhè, sta di fatto che attaccai la musica, per farmi compagnia. Il volume credo fosse alto. Molto alto. Le cuffie sputavano fuori l’album dei Baustelle, Amen. E per la prima volta capii fino in fondo il loro consiglio, stampato ben visibile. Sono sopravvissuto a quella notte grazie ai testi e alla musica, ai mille strati di ascolto che mi proponeva, come uno spettatore pagante davanti alle molteplici opere di un museo, concentrato solo su di loro.
Amen rappresenta il quarto album della band toscana. Il secondo con una major. Per gli integralisti indi-rock sancisce la definitiva uscita dal quel sottobosco musicale fatto di eroi silenziosi, ma per il grande pubblico è la consacrazione.
Ho sempre trovato in questo album una sorta di equilibrio tra i testi e la musica. Non c’è mai un tentativo di una delle parti di prevaricare l’altra. E questo mi tranquilliza sempre. Possiamo intenderlo come un evoluzione dei precedenti lavori - è vero -, tanto da ritrovare arraggiamenti simili e schemi narrativi ripercorribili tra i vari album. Forte però è il profumo della lirica di Battiato e dei Bluvertigo, giusto per citarne due, ma sarebbero molteplici le citazioni degne di nota. C’è chi si è spinto fino alla critica più aspra, riducendo questo lavoro a una mera imitazione di artisti più completi e affermati. Per quel che mi riguarda ho sempre trovato spunti di originalità in ogni scelta, soprattuto dei testi, ed è per questo che continuo nell’ascolto esattamente come quella notte.
In tutto l’album troviamo un’attenzione spasmodica alle dinamiche della società contemporanea. Dal romanticismo di L, alla critica sociale di Colombo. E’ un continuo alternarsi di apatia, fallimenti e inquietudine da una parte, e riscatto, vie di uscita dall’altra. Esattamente come di critica e speranza.
In Baudelaire per intenderci, forte è il richiamo al concetto di vita-morte, attraverso lo stesso esempio del poeta decadente che ci presta il nome per intitolare il pezzo, e altri esponenti, da Socrate a Tenco, tutti morti per noi, per ribadire la ricerca della vera sopravvivenza e la salvezza nello scrivere.
Il singolo più celebrato è forse “Charlie fa surf”. In merito a questo pezzo il suo autore, Bianconi, disse: l’ho scritto dopo una visita al Museo di Arte Contemporanea di Rivoli dove ho visto un'istallazione: ‘Charlie Don’t Surf’ di Maurizio Catelan”. A sua volta quest’opera è liberamente tratta (come direbbero quelli bravi nel commentare) dalla omonima canzone dei Clash. Troviamo in questo pezzo tutta la foga della ribellione di un ragazzo che soffre, ribellione contro valori di una società che non lo rappresenta, della religione e della famiglia. E’ al tempo stesso un inno decadente e una richiesta di aiuto.
Ora mollate qualsiasi cosa in cui eravate impegnati, alzate il volume al massimo e buon ascolto!
Condividi
Baustelle, Amen
4/
5
Oleh
Unknown