martedì, dicembre 24, 2013

Blue Jasmine: monologhi e flashback, tra passato e presente.

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER, SI CONSIGLIA LA LETTURA DOPO LA VISIONE DEL FILM

«C’è una vecchia storiella, aah… due vecchiette sono ricoverate nel solito pensionato per anziani, ehhm… e una di loro dice: “ragazza mia, il mangiare qua dentro fa veramente pena!” e l’altra: “Sì è uno schifo, ma poi che porzioni piccole!”… Beh, essenzialmente è così che io guardo alla vita: piena di… solitudine, di… miseria, di sofferenze, di infelicità e… disgraziatamente, dura troppo poco!» 
 
Penso che queste parole, le primissime pronunciate in quello che forse si può considerare il capolavoro assoluto di Woody Allen, “Io ed Annie”, risuonino nella testa di ogni fan nel momento in cui si siede e comincia la visione di un nuovo film del grande regista. Con “Blue Jasmine”, la sua ultima opera, uscita da pochissimo nelle sale, queste parole ritornano vive come se sentite casualmente poco prima dal venditore di pop-corn: il film infatti non solo comincia in maniera simile, con un lungo monologo del protagonista sulla propria vita, ma fin dalle prime immagini traspare la stessa tragica, o tragicomica, visione dell’esistenza umana. Tragica… il film sembra invitare a riflettere proprio su questo termine fin dalle prime immagini: abbiamo infatti una fantastica Cate Blanchett (nel ruolo di Jasmine) che con una disperazione visibilmente e verosimilmente contenuta recita il proprio monologo seduta accanto a una vecchina dolce per quanto indifferente; un monologo che, ora per colpa di disturbi psichici, ora generato da estemporanei interlocutori, si reitererà per tutto il film, appoggiato da inquadrature molto lunghe e insistenti primissimi piani sul viso dell’attrice, dando una sottile ma fondamentale atmosfera teatrale e drammatica. L’ultima inquadratura di tutto il film è esemplare: Jasmine, stravolta degli accadimenti, si siede su una panchina qualunque e ricomincia il suo sproloquio; ma, questa volta, la malcapitata auditrice di turno non starà ferma ad ascoltarla pazientemente, ma se ne andrà lasciandola sola al suo dolore.

Pochi commenti: il film è molto bello e godibilissimo, amaro e struggente nella cinica e sofisticata ironia cui Woody Allen ci aveva abituato ai suoi tempi d’oro, pur non contenendo la stessa capacità analitica, mordacità e originalità di allora. Tuttavia si presta meglio degli altri a una particolare analisi; essa scaturisce dopo aver constatato la ring composition della prima e ultima inquadratura: tutta la storia risulta svilupparsi in una struttura studiatissima, basata su una razionale disposizione di simmetrie e specularità. La prima fondamentale divisione che subisce l’intreccio è quella tra presente, che è il tempo dell’azione, e passato, che noi riscopriamo poco a poco attraverso continui flashback in montaggio parallelo; nel passato ci viene mostrata la ricca e lussuosa vita matrimoniale di Jasmine con Hal, imprenditore-truffatore falso con tutti, moglie compresa, e il suo lento degradamento, mentre nel presente si assiste al faticoso reinserimento della protagonista nell’ordinaria quotidianità dei redditi medio-bassi. Vi è poi una seconda cesura: accanto alla storia di Jasmine scorre non tanto parallela quella della sorellastra di buon cuore Ginger, maltrattata ma affezionata, che si ritrova ad affrontare un divorzio, un nuovo partner e un amante. Bene, diviso così l’intreccio in quattro parti, Jasmine presente, Ginger presente, Jasmine passato Ginger passato, il regista si diverte a inserire innumerevoli rimandi e capovolgimenti da un piano all’altro: Jasmine mente al nuovo possibile marito come quello precedente mentiva con lei; come l’intervento di Hal fa rompere la relazione passata di Ginger con Oggy, l’intervento di Oggy rompe la relazione presente di Jasmine; entrambe erano sposate nel passato e sono solo fidanzate nel presente; l’una viene tradita l’altra tradisce; tutte e due perdono o stanno per perdere, ma poi una ritrova l’altra no; e così via, fino a quando le due sorelle così diverse trovano alla fine l’una la felicità, l’altra la rovina, e la trovano proprio per reazioni diverse a uno stesso problema, l’eccessiva ambizione. Straordinario è come questo gioco di specchi non risulti affatto macchinoso o forzato alla visione, in quanto il tutto riesce a fondersi assumendo la forma di una inevitabile, logica e perfetta concatenazione di eventi. Riprendiamo ora il secondo punto principale individuato all’inizio, ovvero la teatralità implicita nelle forme cinematografiche adottate. Ne risulterà quindi che il collante di questa concatenazione perfettamente giostrata è l’agire-subire di Jasmine, che si esprime concretamente proprio nel suo discorso continuo e cantilenante; non a caso, infatti, i flashback vengono sempre introdotti o terminati da un monologo a occhi persi nel vuoto della protagonista.

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4/ 5
Oleh