ATTENZIONE:
CONTIENE SPOILER, SI CONSIGLIA LA LETTURA DOPO LA VISIONE DEL FILM
«C’è
una vecchia storiella, aah… due vecchiette sono ricoverate nel
solito pensionato per anziani, ehhm… e una di loro dice: “ragazza
mia, il mangiare qua dentro fa veramente pena!” e l’altra: “Sì
è uno schifo, ma poi che porzioni piccole!”… Beh, essenzialmente
è così che io guardo alla vita: piena di… solitudine, di…
miseria, di sofferenze, di infelicità e… disgraziatamente, dura
troppo poco!»
Penso
che queste parole, le primissime pronunciate in quello che forse si
può considerare il capolavoro assoluto di Woody Allen, “Io ed
Annie”, risuonino nella testa di ogni fan nel momento in cui si
siede e comincia la visione di un nuovo film del grande regista. Con
“Blue Jasmine”, la sua ultima opera, uscita da pochissimo nelle
sale, queste parole ritornano vive come se sentite casualmente poco
prima dal venditore di pop-corn: il film infatti non solo comincia in
maniera simile, con un lungo monologo del protagonista sulla propria
vita, ma fin dalle prime immagini traspare la stessa tragica, o
tragicomica, visione dell’esistenza umana. Tragica… il film
sembra invitare a riflettere proprio su questo termine fin dalle
prime immagini: abbiamo infatti una fantastica Cate Blanchett (nel
ruolo di Jasmine) che con una disperazione visibilmente e
verosimilmente contenuta recita il proprio monologo seduta accanto a
una vecchina dolce per quanto indifferente; un monologo che, ora per
colpa di disturbi psichici, ora generato da estemporanei
interlocutori, si reitererà per tutto il film, appoggiato da
inquadrature molto lunghe e insistenti primissimi piani sul viso
dell’attrice, dando una sottile ma fondamentale atmosfera teatrale
e drammatica. L’ultima inquadratura di tutto il film è esemplare:
Jasmine, stravolta degli accadimenti, si siede su una panchina
qualunque e ricomincia il suo sproloquio; ma, questa volta, la
malcapitata auditrice di turno non starà ferma ad ascoltarla
pazientemente, ma se ne andrà lasciandola sola al suo dolore.
Pochi
commenti: il film è molto bello e godibilissimo, amaro e struggente
nella cinica e sofisticata ironia cui Woody Allen ci aveva abituato
ai suoi tempi d’oro, pur non contenendo la stessa capacità
analitica, mordacità e originalità di allora. Tuttavia si presta
meglio degli altri a una particolare analisi; essa scaturisce dopo
aver constatato la ring composition della prima e ultima
inquadratura: tutta la storia risulta svilupparsi in una struttura
studiatissima, basata su una razionale disposizione di simmetrie e
specularità. La prima fondamentale divisione che subisce l’intreccio
è quella tra presente, che è il tempo dell’azione, e passato, che
noi riscopriamo poco a poco attraverso continui flashback in
montaggio parallelo; nel passato ci viene mostrata la ricca e
lussuosa vita matrimoniale di Jasmine con Hal,
imprenditore-truffatore falso con tutti, moglie compresa, e il suo
lento degradamento, mentre nel presente si assiste al faticoso
reinserimento della protagonista nell’ordinaria quotidianità dei
redditi medio-bassi. Vi è poi una seconda cesura: accanto alla
storia di Jasmine scorre non tanto parallela quella della sorellastra
di buon cuore Ginger, maltrattata ma affezionata, che si ritrova ad
affrontare un divorzio, un nuovo partner e un amante. Bene, diviso
così l’intreccio in quattro parti, Jasmine presente, Ginger
presente, Jasmine passato Ginger passato, il regista si diverte a
inserire innumerevoli rimandi e capovolgimenti da un piano all’altro:
Jasmine mente al nuovo possibile marito come quello precedente
mentiva con lei; come l’intervento di Hal fa rompere la relazione
passata di Ginger con Oggy, l’intervento di Oggy rompe la relazione
presente di Jasmine; entrambe erano sposate nel passato e sono solo
fidanzate nel presente; l’una viene tradita l’altra tradisce;
tutte e due perdono o stanno per perdere, ma poi una ritrova l’altra
no; e così via, fino a quando le due sorelle così diverse trovano
alla fine l’una la felicità, l’altra la rovina, e la trovano
proprio per reazioni diverse a uno stesso problema, l’eccessiva
ambizione. Straordinario è come questo gioco di specchi non risulti
affatto macchinoso o forzato alla visione, in quanto il tutto riesce
a fondersi assumendo la forma di una inevitabile, logica e perfetta
concatenazione di eventi. Riprendiamo ora il secondo punto principale
individuato all’inizio, ovvero la teatralità implicita nelle forme
cinematografiche adottate. Ne risulterà quindi che il collante di
questa concatenazione perfettamente giostrata è l’agire-subire di
Jasmine, che si esprime concretamente proprio nel suo discorso
continuo e cantilenante; non a caso, infatti, i flashback vengono
sempre introdotti o terminati da un monologo a occhi persi nel vuoto
della protagonista.
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Blue Jasmine: monologhi e flashback, tra passato e presente.
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Oleh
Unknown