sabato, giugno 08, 2013

Barista di confine (continuazione Scritto Infestante No.1)

Dicono alcuni che finirà nel fuoco il mondo, altri nel ghiaccio. Del desiderio ho provato quel poco, quella minuscola stilla di nettare ardente che mi fa scegliere il fuoco, condannando il mondo a bruciare espiando peccati non commessi, per il perdono dei grandi e lo schiacciamento dei piccoli, che unica colpa hanno avuto esser figli di un dio crudele e distruttore, un culto inumano che sempre schiavi vi fece. Vecchio stolto, che piange ancora nel desiderio di esser rimasto in piedi, senza posare a terra il ginocchio, gettandosi tra le catene di una schiavitù infernale, glaciale.
Si sente un urlo dietro la collina dei funerali, è l'ennesimo muratore caduto a sporcar la strada, ad annoiar di ciance salotti scandalizzati, dame e damerini lucidi e imbellettati, inutili cantanti di giorni sciagurati.
Come l'edera non ha senso compiuto questo scritto, e per questo è la più fedele riproduzione del viaggio di una mente attraverso pensieri e parole.
Ma d'altronde che ne sai, tu di un campo di grano, le spighe d'oro ritte come specchio dei raggi di sole, fino all'ombra dell'ultimo sole, a pescar pensieri e ricordi e foglie e bocche d'oro tra i narcisi, a guardar da lontano i bambini giocare e scavalcare cancelli, bevendo lentamente alla coppa che mai potremo afferrare con forza per, finalmente, dissetarci. Il cuore è impazzito, non ricordo più cosa fu, se il cappello floscio o il vento ormai posato, la cui carezza non avrei più sentito sulla pelle stanca, sul naso lungo.
Tu, regina ombrosa, fastosa nel tuo mantello, che porti come una corona la catena di maledizioni che centinaia di amanti a pagamento ti hanno lasciato, stracciona nei tuoi occhi vedo il trono abbandonato di una gentilezza mancata, di una vita violata. Tu, puttana a quattordici anni, a sedici già la disillusione ha fatto non breccia, ma con la forza di un martello si è annidata dietro le tue pupille con l'ineluttabilità di una morte, la tua.
Tu barista, custode un po' laido di segreti e passioni e vittorie e sconfitte e dio solo sa cos'altro, hai ancora quel tuo vizio di sputare nelle tazzine dei clienti nuovi? Sei ancora dalla parte della sempre più sparuta schiera di saggi baristi cui non manca mai la parola giusta sulle labbra?
-Non lo sono mai stato, sicuro di essere ignorante, sapiente.-
Tu, barista, che ogni giorno vedi passare centinaia di persone, e senti le loro parole, i loro pianti, la loro vita si condensa in quei pochi minuti di caffeina, come l’aria intorno al bicchiere d’acqua rigorosamente gelata in ogni stagione, che sempre deve accompagnare la tazzina bollente. Che senso ha? È una metafora? E di che? È una vendetta? Per che cosa? Sono queste le domande che ti poni ogni volta che prepari un nuovo caffè, che riempi un altro bicchiere d’acqua, giudicando e ora mettendo a morte ora graziando la vasta umanità della quale sei spettatore e parte ogni giorno, separato da loro dal tuo stesso mezzo di sostentamento. Perché il bar è un servizio che viene offerto, e tu, barista, non sei una persona, sei il “barrista”, o “il ragazzo del bar”, non sei che per pochi Nunzio, Pio, Giovanni, Francesco.
E qualche volta, quando il bar è vuoto e solo uno sparuto avventore è lì, curvo sulla tazzina, fermo, affrettato ma non frettoloso, lo guardi. E lui, nonostante la fretta, beve con calma, cosciente del tuo sguardo, che tu sai essere traditore, infame. Sai guardare le persone in modo tale che in pochi secondi sono lì, chine sul bancone, muro di cinta della tua cittadella fatta di caffè e cornetti e cappuccini e conchiglie. E ti raccontano. Ti raccontano di un lavoro che manca, di una donna che non c’è, di un sogno frustrato, di un delitto appena commesso. Sì, una volta è entrato anche uno che aveva appena accoltellato la moglie. Le mani arrossate ma asciutte, il maglione zuppo di sangue. Non hai battuto ciglio, gli hai servito un primo caffè, il secondo caffè, il terzo te lo ha chiesto corretto. Il quarto non gliel’hai servito, perché il tempo di girarti e prepararglielo (ma ti ricordi che te l’aveva chiesto corretto anche quello) ed era scomparso. Non l’hai neanche rincorso per farti pagare. Sei rimasto arroccato nel tuo forte.

Non hai osato neanche quella volta scavalcare, uscire. Sei cosciente del tuo essere barista saggio, così come sai che Nunzio, Pio, Giovanni o Francesco non lo sono.

Condividi

articoli simili

Barista di confine (continuazione Scritto Infestante No.1)
4/ 5
Oleh