Da quando, in
seconda superiore, il mio professore lo assegnò come lettura consigliata per
l’estate, La coscienza di Zeno ha
incrociato spesso la mia strada. Come ogni buon studente svogliato, non riuscii
a finirlo in quell’estate; andai infatti sul sito di Studenti.it e scaricai un
riassuntino per presentare due righe scritte per il lavoro richiesto (Se per
qualche nefasta condizione astrale il mio professore stesse leggendo questa
confessione, ammetto di provare ora un vago senso di vergogna). Lo lessi fino in
fondo solo un anno dopo, libero dai gioghi dell’imposizione e invitato da altri
pungoli. Una ragazza, a cui gravitavo attorno con alterne speranze, non faceva
che citare Zeno Cosini e le sue vicende, Ada, Augusta, Guido e tutta la sua
combriccola. Decisi così di riprendere in mano questo libro. Lo portai a
termine rimanendo nel complesso soddisfatto nella lettura e fortemente
preparato nel far fronte alle citazioni.
In quarta
superiore poi, mi capitò di prendere parte a un viaggio studio in quel di
Trieste e uno dei nostri accompagnatori, una sera un poco etilica, non si
quietò fino al momento in cui non riuscì a trovare il vecchio caffè che
frequentava lo stesso Svevo; non risparmiandoci affatto aneddoti e curiosità
sull’autore e sul’opera (Fu una serata difficile!). Passato un anno,
anche alla maturità tornò a farsi vivo. Durante l’esame orale, tra le domande
del presidente esterno, capitò anche una su Svevo e il suo romanzo più famoso. Mi
tolsi la mia bella soddisfazione nel rispondere senza mai abbassare lo sguardo
a tutte le questioni poste con - quella che a suo tempo giudicai - troppa
sufficienza.
Svevo
considerava spesso questo suo lavoro più per i suoi lati “scientifici” che
letterari; cercò infatti per tutta la vita di farlo riconoscere come una
ricerca di psicanalisi - attività che stava prendendo piede in quegli anni -
piuttosto che come un’opera narrativa.
Il romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1923, è costruito come una sorta
di diario, tenuto dal protagonista a mo’ di terapia medica per far fronte ai
suoi malanni esistenziali. Zeno annota le proprie vicende quotidiane, senza rispettare
il filo cronologico degli eventi, ma raggruppandoli in capitoli tematici. Troviamo
quindi oltre al preambolo: Il fumo, La morte di mio padre, La storia di un
matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale e
Psicoanalisi.
Se volete
leggere un riassunto vi rimando a wikipedia, o qualche anima buona che ancora
si ostina a pubblicare vie d’uscita sui siti per studenti. (Se posso divagare
invito a prestare attenzione a queste tipologie di riassunti. C’è stato un
ehm…amico di un mio amico che in una certa occasione del tutto slegata da
questo libro, consegnò un compito in cui invertì le vicende di partigiani con
quelle dei repubblichini, tirando fuori una situazione grottesca quanto
assolutamente infondata).
Di questo
romanzo però, sono due gli aspetti che mi sono rimasti da sempre incollati alla
pelle. Il primo è la sua visione profetica - nonché pippone allucinante -
relegato nell’ultimo capitolo, in merito alla guerra e al fantomatico ordigno
capace di spazzare via il mondo:
“Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo.”
L’ombra della
bomba atomica, molti anni prima che fosse concepita, mi è sempre parsa ben
chiara.
Il secondo
aspetto è invece un pensiero sull’amore. Dalla prima volta che lo lessi, capì che
avrebbe influenzato il mio modo di sentire. Il tutto nasce da una frase
pronunciata da Augusta, nel giorno del matrimonio con Zeno. Sono appena usciti
dalla chiesa, lei ha ripreso colore in volto dopo aver temuto – a ragione – che
il suo promesso alla fine non si presentasse all’altare.
Augusta lo
guarda e dice:
- Non dimenticherò mai che, pur non amandomi, mi sposasti –
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La coscienza di Zeno
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Oleh
Unknown