Questa è
stata un’estate particolare, bella, piena di cambiamenti. Tra i primi viaggi da
sola, il mare con gli amici, le grandi città e una di quelle esperienze che non
dimentichi facilmente e difficili da raccontare, c’è stato il vero miracolo di
questi tre mesi di vacanza: ho visto per la prima volta nella mia vita una
serie tv. Per intero. Cinque parole, un capolavoro: Orange is the new black.
Fino a questo momento avevo guardato l’elemento “serie tv” con il mio solito scetticismo, di cui tra l’altro vado poco fiera, ai tentativi di convincimento di una mia amica particolarmente amante dei telefilm, avevo sempre risposto un “no” categorico, niente ripensamenti. Forse per i tentativi che avevo fatto con altri show poi rivelatisi una delusione dopo la prima stagione o magari semplicemente per mancanza di volontà e di impegno nel vedere puntate, stagioni intere di una stessa storia e, come se non bastasse, piegata sullo schermo di un computer, oppure per paura di non riuscire più a smettere.
Alla fine del gioco, la mia amica ha vinto, io ho perso. Miseramente. Perché oltre ad aver fatto quello che più odio al mondo, ossia aver guardato due stagioni non poco impegnative in così poco tempo da non accorgermene neanche, sono caduta nella trappola nella quale sono caduti tutti i fans di questa serie: mi sono innamorata dei personaggi, dal primo all’ultimo, ognuno di loro è un pezzo di un puzzle che alla fine della giostra è impossibile non amare.
Orange is the new black, forse la serie più riuscita del
canale americano Netflix, due stagioni e una terza in arrivo nel giugno del
2015, è una meravigliosa e sconvolgente opera corale ispirata alla storia di
Piper Kerman che ha raccontato nel libro “Orange
is the new black: My year in a Women’s Prison“ la sua esperienza in una
prigione federale del Connecticut, condannata a quindici mesi per un reato
compiuto dieci anni prima, ossia aver trasportato soldi sporchi provenienti dal
traffico di droga gestito dalla sua ex fidanzata.Fino a questo momento avevo guardato l’elemento “serie tv” con il mio solito scetticismo, di cui tra l’altro vado poco fiera, ai tentativi di convincimento di una mia amica particolarmente amante dei telefilm, avevo sempre risposto un “no” categorico, niente ripensamenti. Forse per i tentativi che avevo fatto con altri show poi rivelatisi una delusione dopo la prima stagione o magari semplicemente per mancanza di volontà e di impegno nel vedere puntate, stagioni intere di una stessa storia e, come se non bastasse, piegata sullo schermo di un computer, oppure per paura di non riuscire più a smettere.
Alla fine del gioco, la mia amica ha vinto, io ho perso. Miseramente. Perché oltre ad aver fatto quello che più odio al mondo, ossia aver guardato due stagioni non poco impegnative in così poco tempo da non accorgermene neanche, sono caduta nella trappola nella quale sono caduti tutti i fans di questa serie: mi sono innamorata dei personaggi, dal primo all’ultimo, ognuno di loro è un pezzo di un puzzle che alla fine della giostra è impossibile non amare.
La serie tv è un libero adattamento ideato dal genio eccentrico di Jenji Kohan che ha posto al centro di tutto il quadro la biondina semi-sconosciuta Taylor Schilling nei panni di Piper (nel telefilm, Chapman), e la bruna Laura Prepon ad interpretare Alex Vause, la sensuale lesbica manipolatrice, ex amante della protagonista, nonché (per fortuna o purtroppo) il suo vero amore.
La narrazione incomincia in media res, con la voce di Piper che parla agli spettatori del suo amore per i bagni caldi e le docce, la bellissima sensazione di sentirsi puliti, profumati. Dopo qualche secondo c’è l’immagine straziante di lei che si vede costretta a lavarsi nelle fredde e sudicie docce della prigione, facendo sentire a chi guarda l’angoscia di quel piccolo e apparentemente insignificante dettaglio della vita quotidiana.
Fin dal primo momento la narrazione appare variegata e diversificata, si vedono con una certa frequenza flashback del passato di Piper, che forniscono varie immagini e versioni della protagonista di cui alla fine viene tracciato un ritratto perfetto. C’è la Piper ventenne che, annoiata da una vita agiata da ricca studentessa del college, incontra in un bar una sensuale e misteriosa criminale e malauguratamente se ne innamora, decidendo poi di seguirla nei suoi infiniti viaggi “di lavoro”. E poi c’è la Piper trentenne, più matura ed elegante, che con un uomo tranquillo accanto, ritornata nel suo habitat naturale, si divide tra saponi artigianali e locali chic di New York.
A questi flashback si contrappone la vita in prigione della protagonista che si ritrova ad essere guardata dalla testa ai piedi da un branco di donne arrabbiate col mondo ma che in un modo o nell’altro riescono a sostenersi a vicenda, ognuna di loro ha bisogno di un contatto, di un’amica e quasi tutte alla fine cedono al lato umano, cercando di non mostrarsi mai deboli. Sono una grande famiglia, anche se divisa in gruppi, e si guardano le spalle a vicenda.
Al contrario
di quello che ho letto in alcune recensioni, la storia si evolve, così come il
carattere di Piper, in un crescendo sempre più intenso che ti lascia senza
fiato. Le puntate, soprattutto quelle della prima stagione, sono piene di
sterzate e accelerazioni, cambi di rotta che vedono Piper protagonista di una
grande evoluzione interiore, di grandi e obbligati cambiamenti per adattarsi a
questa nuova “società” in cui è stata sputata e per affrontare il suo più grande
fantasma: Alex. Ritrovarla in prigione da un lato la fa sentire di nuovo
giovane, piena di quel senso di avventura e libertà, dall’altro la spaventa il
modo in cui si sente ancora vertiginosamente attratta da lei.
Hanno un enorme potere l’una sull’altra e questo rende la loro relazione passionale e turbolenta e così come dice uno degli sceneggiatori della serie “Alex is the spider, Piper is the fly”.
Hanno un enorme potere l’una sull’altra e questo rende la loro relazione passionale e turbolenta e così come dice uno degli sceneggiatori della serie “Alex is the spider, Piper is the fly”.
Attorno alla loro storia, che si trasforma di giorno in giorno, vengono narrate attraverso flashback, ricordi e confessioni difficili, le storie di molte altre detenute, ognuna di esse rende chi assiste allo spettacolo più vicino ai personaggi, a queste figure femminili che spiccano in ogni punto della storia, sovrastando quasi del tutto i pochi uomini presenti, resi ridicolmente e spesso volutamente insignificanti, si va infatti dal consulente frustrato da una vita privata insoddisfacente e terrorizzato dalle lesbiche alle guardie carcerarie completamente inutili.
Tra chi è felice per la serata tacos, chi baratta una coperta per una ciocca di capelli e chi cerca una prison wife, OITNB diventa un vero e proprio diario di sopravvivenza, un romanzo di formazione o semplicemente un insieme di storie. E credo che sia proprio questo a renderlo speciale: ognuno può vederci qualcosa di diverso.
E allora non fatevi spaventare dai soliti commenti negativi sempre uguali e neanche dalle 26 puntate da un’ora ciascuna, ne vale la pena!
“But I do know that I was somebody
before I came in here. I was somebody with a life that I chose for myself and
now, now it's just about getting through the day without crying. And I'm
scared. I'm still scared. I'm scared that I'm not myself in here and I'm scared
that I am. Other people aren't the scariest part of prison Dina. It's coming
face-to-face with who you really are. Because once you're behind these walls
there's no where to run, even if you could run. The truth catches up with you
in here Dina and it's the truth that's going to make you her bitch.”
(1x10, Bora Bora Bora)
(1x10, Bora Bora Bora)
Trailer Prima stagione:
Trailer Seconda stagione:
Trailer Seconda stagione:
Condividi
Orange is the new black: every sentence is a story
4/
5
Oleh
Diletta L