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Acaya è una piccola
frazione del comune di Vernole (Lecce), di soli 450 abitanti, che
rappresenta uno dei rari esempi di città fortificate del XVI secolo.
É
al vertice settentrionale di un quadrilatero di vie composto anche
dai castelli di Strudà ad ovest, Vanze ad est ed Acquarica a sud:
tutti di origine medievale, ma tutti privi di mura fortificate,
tranne rudimentali ostacoli come fossi, o muretti a secco di una
certa altezza. Poi furono innalzate le torri costriere; e nella loro
catena ininterrotta la distanza non doveva tanta da impedire la vista
di una dall'altra. E in uno dei punti i cui gli ingegneri non avevano
altra soluzione, ecco sorgere Acaya, un punto strategico, con un
controllo del territorio talmente funzionale che nella zona i Turchi
si guardarono bene dal rischiare un attacco che li lasciasse
intrappolati nel reticolo della difesa.
Acaya
rappresenta però anche altro. Grazie a Gian Giacomo, il più grande
rappresentante della stirpe francese degli Acaya, regio ingegnere
militare di Carlo V, fu il primo centro nel Meridione (e uno dei
primi in Italia) ad essere edificato seguendo lo schema
rinascimentale della città ideale.
E
così appunto nel 1535 assunse il nome di Acaya, quando Gian Giacomo
fortificò il centro costruendovi la cinta muraria e il fossato, e
aggiunse bastioni e baluardi al castello fatto edificare nel 1506 dal
padre Alfonso dell'Acaya.
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Abbandonati
gli usuali riferimenti simbolico-religiosi, quali la chiesa e il
campanile attorno ai quali si edificava tutto il resto, Gian Giacomo
introdusse il criterio di una città dalle funzioni talmente precise
da influenzarne la collocazione a la forma. Potremmo definirlo un
ideale umanistico, una città laica nella quale le attività e le
funzioni dell'uomo vengono poste al centro, e di conseguenza tutto
viene costruito in base alle sue esigenze.
Di
pianta trapezoidale, con i lati di circa 40 metri, dispone ai due
spigoli opposti di due torrioni rotondi, alti quanto le cortine ed
ornati da archetti e beccatelli, la cui forte sporgenza fungeva da
ottimo sistema di difesa. L'angolo di sud-est presenta un imponente
baluardo dallo spigolo molto appuntito rivolto verso il mare. E
tutt'attorno correva un doppio ordine di casematte, uno rivolto verso
il fossato, l'altro verso la campagna.
Alla
gente del posto piace pensare che nelle rovine del castello vaghi
ancora lo spirito di Gian Giacomo, che nonostante abbia costruito
fortezze con maestria in tutto il sud, da Napoli (fortezza Sant'Elmo)
a Crotone (mura della città), a Lecce (ospedale dello Spirito
Santo), amava talmente tanto Acaya da indebitarsi per farla sempre
più bella, fin quando, ormai malato ed anziano, il real commissario
lo arrestò e lo rinchiuse nel castello di Lecce, dove il barone
sopravvisse pochi giorni.
Da
qui la discesa della stessa Acaya, e il suo castello, che per due
secoli nessuno aveva osato sfidare, cadde nelle mani di pirati turchi
che ne fecero scempio nel1714.
Forse
però l'affronto peggiore per la città laica fu fatto da chi sistemò
la statua di sant'Oronzo sulla porta d'ingresso.
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Una
fortezza inespugnabile, che però non ha preservato nei secoli il suo
aspetto, oggi «così mal ridotto e trascurato da non stonare affatto
con la terra avara che lo circonda», come osserva lo storico locale
Silvano Palamà, nonostante, aggiunge lo stesso storico, Acaya e il
castello «creano una suggestione tutta loro, una strana magia nella
quale si fondono tutti insieme gli alteri signori e il sudore dei
contadini, le feste e le urla di quella terra che chiedeva molto e
dava sempre poco».
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