mercoledì, gennaio 06, 2016

Quo Vado: trovata commerciale o amara verità?

Negli ultimi giorni, esattamente negli ultimi sette, otto giorni, ho sentito molto parlare, sia sul web che in casa, dell'ultimo film di Checco Zalone: “Quo Vado”. Sono, e continuerò ad esserlo, un detrattore di questo genere di film, anche se devo ammettere che sotto il punto di vista commerciale, la pellicola è ben che riuscita.
Ovviamente incassi al botteghino, non sono certo sinonimo di qualità e creatività. Gli ingredienti per questa ricetta sono pochi e ben miscelati: uscita del film a capodanno, con una distribuzione massiccia che copre quasi il sessanta per cento degli schermi, la voglia degli italiani di andare a vedere l'ultimo film del comico barese, volutamente non promosso dallo stesso attore, ed infine la sottile, ma tristemente reale satira politica che contorna il film.
La trama si snoda attraverso le vicende di un uomo chiamato Checco Zalone, che sin da piccolo aveva come sogno quello di diventare un impiegato con il posso fisso, un po' come me che sognavo di fare il becchino come Mefisto della Very Strong Family. Il protagonista realizza il suo sogno nel migliore dei modi, meglio di qualsiasi italiano sfruttatore e calcolatore. Impiegato salariato dallo stato, mantenuto dai genitori, e con una fidanzata con la quale non ha convogliato a nozze, per il semplice fatto di non volersi assumere le sue responsabilità, il sogno italiano insomma.
Ma una brutale riforma, come mi auguro che accada anche nella vera Italia il più presto possibile, costringe il protagonista a dover lasciare il suo impiego statale pieno di privilegi e magagne. Ma farà di tutto pur di non lasciarlo, persino rifiutare un'indennità di cento mila euro.
Checco sarà costretto a lavorare nei posti più assurdi e nelle situazioni più incredibili, sarà infatti messo alle strette pur di essere licenziato, ma non demorderà fino alla fine. Pian piano l'incontro con una donna, Valeria, durante un incarico in Norvegia gli farà totalmente cambiare idea, sia sui modi di vivere degli italiani, ma anche sul continuare a tenere o no il posto fisso pur di restare accanto alla donna che ama.
L'intera trama ruota attorno al dilemma del protagonista, che vede le sue sicurezze crollare con la cessazione del posso fisso. Una prospettiva italiana forse troppo paradossale, ai limiti dell'immaginazione ma tristemente vera sotto certi punti di vista, come i continui ed infiniti privilegi fatti di trasferte, aspettative, malattie e cartellini non timbrati. Molte scene possono sembrare banali e paradossali, soprattutto l'impiegato che chiama all'estero dal telefono comunale, o lo stesso protagonista che racconta di recarsi a lavoro ogni mattina alle 11,30 con il cartellino già timbrato. Un triste realtà che purtroppo ancora oggi circonda la maggior parte dei nostri uffici pubblici.
L'attore non è stupido, anzi è stupidamente geniale, poiché grazie al regista e agli autori è riuscito a toccare un tema vicinissimo agli italiani e a trasformarsi in un vero e proprio Re Mida del botteghino, scivolando però in una spirale di clichè e di trash infinito.

Scusatemi se è poco, ma non è stato né fesso, né ignorante, ma “fottutamente” commerciale.  

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