“I cheated myself,
Like I knew I would
I told you I was trouble,
Yeah, you know that I'm no good”
Like I knew I would
I told you I was trouble,
Yeah, you know that I'm no good”
Si conclude così “You know that I’m no good” di Amy
Winehouse, tormentata cantautrice soul inglese morta tre anni fa a causa della
droga e dell’alcool che l’avevano accompagnata fin da giovane. Dopo il buon
successo del suo primo album “Frank” diventa famosa soprattutto in Inghilterra
per i testi forti e la potente voce fuori dal comune. Già in quegli anni Amy
comincia ad avere problemi di dipendenza da droga e alcool a cui si aggiunge
anche un forte disordine alimentare che le causerà poi una notevole diminuzione
di peso.
Qualche anno dopo esce il disco che la fa diventare la regina
bianca del jazz/soul: “Back to black”. Con testi sinceri e aggressivi e musiche
malinconiche e lente, le sue sono canzoni piene di tristezza, amore, grinta, ma
soprattutto rabbia, cantate con disprezzo verso qualcuno di indefinito ed
interpretate con espressioni che appaiono noncuranti, ma Amy, come un’
eccellente attrice, finge. Infatti la sua anima e i suoi pensieri sono
tutt’altro che leggeri. Amy ha tantissimi problemi, ha continue crisi
depressive e non riesce a non bere perché, come dirà in un’altra sua canzone
“I'm gonna lose my baby so I always keep a bottle near”, ha paura. Ha paura di
perdere le persone che ama e ha paura di soffrire.
Ho pensato quasi subito a lei quando ho letto la parola
INIZIO. Se penso ad un inizio mi vien da pensare alla luce in fondo ad un
tunnel, ad un disperato tentativo di riemergere e alla ricerca della felicità
dopo un periodo di tristezza e di buio totale. Perché alla fine la vita, quasi
sempre, non so se dire purtroppo o fortunatamente, si riduce ad una folle
ricerca della felicità, di un posto dove ci si possa sentire a casa, sentendosi
finalmente se stessi. E forse, non
potremo mai saperlo veramente, era proprio questo il problema di Amy, sentiva
di non appartenere al luogo in cui si trovava, di essere lì per errore e forse
le mancava la libertà di cui un’anima soul ha bisogno.
Amy ha provato tante, forse troppe volte a riemergere dal
vortice che la stava risucchiando sempre più giù, a porre fine a tutto il
dolore che provava e a ricominciare da zero per ritrovare se stessa, perché è
da lì che bisogna ricominciare. Da se stessi. Ha chiesto aiuto al mondo con la
sua voce triste, ma il mondo l’ha ignorata. E così si è lasciata andare con la
consapevolezza di aver perso la battaglia contro i suoi problemi e contro la
vita perché, come dirà in un’intervista il musicista Tony Bennett, “lei sapeva
di essere in un mare di guai, sapeva che non stava vivendo veramente”. Ma Amy
era sola e da soli, si sa, non si va da nessuna parte.
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Amy Winehouse, l'anima maledetta del soul.
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5
Oleh
Diletta L